Servizio fotografico di Giuseppe Lami
Il posto di pilotaggio del Mi-17, a destra il Colonnello Alfonso Cipriano Senior Instructor di ASSAT e al centro al posto del Flynh Enginner il traduttore.
Lo scorso 7 gennaio si è svolta presso la Base Aerea di Shindand, a sud di Herat a circa 200 km dal confine iraniano, la cerimonia di consegna dei brevetti e delle abilitazioni alla più recente classe di Piloti, Flight Engineer e Flight Crew Chief afghani che saranno impiegati sull’elicottero MI-17 nel comparto ad ala rotante dell’Afghan National Air Force. Sono i primi membri della neonata forza aerea afghana e sono stati istruiti e formati in merito ai loro compiti da una piccolo nucleo di ufficiali e sottufficiali della nostra Aeronautica Militare.
È una di quelle notizie che nel panorama dei media italiani, infarciti di politica intesa come gossip e cronaca nera, rosa e sportiva è passata praticamente inosservata.
Eppure l’impegno militare italiano in Afghanistan costituisce di fatto una pietra miliare per la nostra capacità di fare politica estera e per la crescita professionale delle nostre Forze Armate che giorno dopo giorno stanno raggiungendo gli obiettivi perseguiti dalla coalizione ISAF in aiuto al governo afghano e che sono sintetizzati in questi tre punti: Sicurezza, Sviluppo e Governance. All’interno di ISAF, composta da 48 nazioni, l’Italia come dovrebbe ormai essere noto, svolge un ruolo primario avendo il comando, nella regione occidentale (RC-W) ai confini con l’Iran e il Turkmenistan, di circa ottomila militari appartenenti a 10 nazioni di cui metà italiani.
In Afghanistan, operano tutte e quattro le nostre Forze Armate: Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, inoltre è presente una componente di circa 15 istruttori della Guardia Di Finanza, denominata Task Force Grifo, che ha il compito di formare i dirigenti ed i quadri della polizia di frontiera aeroportuale afghana ed i funzionari degli uffici delle dogane.
In questo contesto nonostante i male informati sull’argomento, per ignoranza o per posizione pregiudiziale, l’uso delle armi e gli scontri a fuoco sono considerate situazioni estreme, di irrinunciabile autodifesa o di supporto ai reparti afghani e di altre bandiere coinvolti in gravi situazioni di rischio. Questo perché il nostro compito e quello di ISAF non è certo quello di conquistare un territorio con l’uso delle armi ma quello di creare i presupposti per la governabilità dell’area che ci è stata affidata, operando in seguito al mandato originario dell’ONU sull’Afghanistan affidato alla NATO ed alle sue successive risoluzioni.
Il compito principale di ISAF e quindi di RC-W è infatti quello di costruire, praticamente partendo da zero ed a sostegno del governo democratico di Kabul, una struttura governativa, amministrativa, pluripartitica e militare in un paese logorato da trent'anni di guerre e violenze, spezzettato in innumerevoli tribù, spesso lontane fisicamente e culturalmente dai cambiamenti in corso. Questi nuclei sociali, aggregati in veri e propri clan famigliari, sono a loro volta divisi tra loro per casta, etnia, interpretazione religiosa dell’islamismo e interessi di tutti i tipi a volte così radicati nella loro cultura che noi occidentali abbiamo difficoltà a comprendere, anche se è ormai chiara e sempre più diffusa la volontà del popolo afgano a perseguire nuove strade.
È una di quelle notizie che nel panorama dei media italiani, infarciti di politica intesa come gossip e cronaca nera, rosa e sportiva è passata praticamente inosservata.
Eppure l’impegno militare italiano in Afghanistan costituisce di fatto una pietra miliare per la nostra capacità di fare politica estera e per la crescita professionale delle nostre Forze Armate che giorno dopo giorno stanno raggiungendo gli obiettivi perseguiti dalla coalizione ISAF in aiuto al governo afghano e che sono sintetizzati in questi tre punti: Sicurezza, Sviluppo e Governance. All’interno di ISAF, composta da 48 nazioni, l’Italia come dovrebbe ormai essere noto, svolge un ruolo primario avendo il comando, nella regione occidentale (RC-W) ai confini con l’Iran e il Turkmenistan, di circa ottomila militari appartenenti a 10 nazioni di cui metà italiani.
In Afghanistan, operano tutte e quattro le nostre Forze Armate: Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, inoltre è presente una componente di circa 15 istruttori della Guardia Di Finanza, denominata Task Force Grifo, che ha il compito di formare i dirigenti ed i quadri della polizia di frontiera aeroportuale afghana ed i funzionari degli uffici delle dogane.
In questo contesto nonostante i male informati sull’argomento, per ignoranza o per posizione pregiudiziale, l’uso delle armi e gli scontri a fuoco sono considerate situazioni estreme, di irrinunciabile autodifesa o di supporto ai reparti afghani e di altre bandiere coinvolti in gravi situazioni di rischio. Questo perché il nostro compito e quello di ISAF non è certo quello di conquistare un territorio con l’uso delle armi ma quello di creare i presupposti per la governabilità dell’area che ci è stata affidata, operando in seguito al mandato originario dell’ONU sull’Afghanistan affidato alla NATO ed alle sue successive risoluzioni.
Il compito principale di ISAF e quindi di RC-W è infatti quello di costruire, praticamente partendo da zero ed a sostegno del governo democratico di Kabul, una struttura governativa, amministrativa, pluripartitica e militare in un paese logorato da trent'anni di guerre e violenze, spezzettato in innumerevoli tribù, spesso lontane fisicamente e culturalmente dai cambiamenti in corso. Questi nuclei sociali, aggregati in veri e propri clan famigliari, sono a loro volta divisi tra loro per casta, etnia, interpretazione religiosa dell’islamismo e interessi di tutti i tipi a volte così radicati nella loro cultura che noi occidentali abbiamo difficoltà a comprendere, anche se è ormai chiara e sempre più diffusa la volontà del popolo afgano a perseguire nuove strade.
Un Mi-17 della Missione ASSAT a Shindand dopo un'acquazzone.
L’Afghanistan è un paese dove in alcune zone l’istruzione scolastica civile è ancora considerata nociva alla sharia, soprattutto quella per le donne gran parte delle quali patisce vessazioni che per la nostra cultura sono ormai incomprensibili. Qui non esiste ancora un servizio anagrafico capillare e molte zone sono ancora in mano a bande di insurgents, termine generico per definire nel loro insieme talebani, guerriglieri prezzolati da agenzie straniere più o meno coperte, trafficanti di armi e droga, predoni di strada e organizzazioni criminali con contatti e aderenze in altre nazioni non solo confinanti.
In questo contesto l’attività della nostra Aeronautica Militare costituisce un fulcro indispensabile per le attività di ricognizione, protezione di area e trasporto rivolte alle nostre Forze Armate e a quelle della coalizione ma sempre più spesso anche verso la popolazione civile. La nostra Aeronautica svolge inoltre un’attività meno conosciuta ma estremamente importante per il futuro dell’Afghanistan e per il prestigio internazionale italiano: l’apporto tecnico, gestionale ed operativo per la creazione di un’aeronautica militare nazionale che di fatto è iniziato quando gli Stati Uniti hanno comprato per consegnarli alle forze armate i G-222 (rinominati C27-A) dismessi dalla 46° Aerobrigata e li hanno fatti ricondizionare dall’industria italiana. I piloti afghani vennero quindi istruiti alla loro condotta in volo da istruttori dell’Aeronautica Militare che riservò inoltre dei posti all’Accademia di Pozzuoli ad alcuni giovani afghani.
Oltre agli assetti che operano all’interno di ISAF la nostra Aeronautica è presente dal 2 Novembre 2010 preso la base di Shindand con 23 Ufficiali e Sottufficiali all’interno di ASSAT (Airbase Support Air Advisory Team), una complessa missione della NATO che ha come capofila l’838th AEAG (Air Expeditionary Advisory Group) comandata dal Colonnello dell’US Air Force J.J. Hokay, che a sua volta riporta al Comando della NTM-A (Nato Air Training Command-Afghanistan). Questo è uno dei tre Comandi Multinazionali dedicati all’addestramento delle forze armate e dei corpi di polizia afghani, con l’obiettivo di supportare il Governo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan nel processo di transizione verso una situazione di sicurezza con la completa autonomia decisionale ed operativa delle sue forze armate e di polizia.
La piccola task force italiana, parte integrante di ASSAT, è comandata dal Colonnello Pilota Luigi Casali mentre il Colonnello Alfonso Cipriano, Senior Instructor su MI-17 è il responsabile degli equipaggi di volo. Tutto lo staff italiano dell’AM è composto da personale che ha maturato nel corso della propria carriera esperienze internazionali e competenze adatte a questo specifico ed impegnativo ruolo. Il loro compito è infatti quello di istruire i comandanti e gli istruttori della giovane aeronautica afghana attraverso corsi di formazione riferiti ai diversi settori necessari al suo completo funzionamento, come la Gestione del Personale, le Informazioni Operative, l’Amministrazione Finanziaria, le Telecomunicazioni e l’Informatica, i Trasporti, la Gestione dei Materiali, l’Antincendio, il POL (Petroleum Oil Lubricants), la Sanità, la gestione della Mensa e degli Alloggi, la Security Forces e la Power Generator and Civil Engineering.
In pratica i nostri militari trasferiscono agli afghani le loro competenze in merito a tutto ciò che ruota intorno alla gestione, alla pianificazione ed alla condotta in volo di una forza aerea.
È un lavoro complesso sia per la comunicazione verbale, sempre mediata da un traduttore, sia per le spartane condizioni di vita e le varie attività formative che si svolgono in situazioni ben lontane dalle facilities delle scuole di volo e di formazione in cui normalmente i nostri militari operano in Italia o in altri paesi membri della NATO.
La base di Shindand dove opera ASSAT è al momento un gigantesco cantiere, qui sta sorgendo la sede principale dell’Afghan National Air Force con due lunghe piste parallele e strutture complesse in grado di accogliere ed assistere anche aerei di grosse dimensioni come i C17 e sta sorgendo una cittadella militare che ospiterà non meno di 8 mila persone, ma soprattutto in grado di formare piloti e tecnici afgani specializzati, dotati di autonomia gestionale ed operativa. Attualmente gli uffici operativi del nostro contingente sono situati all’interno della torre di controllo costruita dai sovietici negli anni ’80, ancora con la tinteggiatura delle pareti originale e dove la scritta CCCP è quasi ironicamente posta all’ombra della bandiera americana e della NATO. Infatti questa vecchia base sovietica, che è stata sottoposta anche con l’intervento dei nostri genieri ad una lunghissima e complessa attività di bonifica da mine, trappole esplosive, munizioni ed armi abbandonate e innumerevoli carcasse sovietici jet abbandonate, avrà nel prossimo futuro anche un’altra funzione strategica, seppure al momento secondaria, essendo posta a pochi minuti di volo dall’Iran sciita e gli Afghani, come ben si sa, sono sunniti…
Nei mesi precedenti l’inizio della missione, tutti gli advisor italiani dell’ASAAT e del MI-17 AAT (Airbase Support-MI-17 Air Advisory Team) hanno frequentato un corso specifico presso il Centro di Formazione Didattico e Manageriale dell’Aeronautica Militare Italiana di Firenze, allo scopo di acquisire ed affinare le competenze necessarie per assolvere a questa missione.
Gli equipaggi dedicati all’addestramento al volo hanno svolto a loro volta un addestramento specifico negli Stati Uniti, per l’abilitazione sull’elicottero di fabbricazione russa MI-17 denominato “Hip” nella nomenclatura NATO.
L’attività didattica, oltre a quella gestionale per l’assistenza tecnica e alle strutture del sedime aeroportuale, è divisa tra istruzione primaria al volo, operata da personale americano su ala rotante con gli Hughes-MD 500 e su velivoli ad ala fissa con i velivoli Cessna 208, anche con l’utilizzo di simulatori di volo campali; mentre l’istruzione avanzata sull’ala rotante è affidata all’Italia che opera insieme ad un reparto ungherese che ben conosce gli elicotteri di costruzione russa MI-17 che, seppure datati, sono stati ritenuti dalla NATO più idonei, per la loro semplicità tecnica e le caratteristiche generali, ad essere impiegati da parte dei piloti afghani nei difficili contesti climatici ed orografici di quel territorio.
Lo scorso dicembre, insieme a Giuseppe Lami, abbiamo fatto un volo di addestramento su uno di questi Mil Mi-17 con il Colonnello Alfonso Cipriano Senior Instructor di ASSAT seduto al posto dell’istruttore ed un allievo afghano ai comandi. A bordo con noi, come passeggero di riguardo, c’era anche il Colonnello Luigi Casali, il Comandante della missione che oltre ad essere un pilota di Tornado ha maturato lunghe missioni in Inghilterra e negli USA ed ha inoltre comandato presso il 61° Stormo di Lecce sia il 214° Gruppo che il 212° Gruppo.
Il Maresciallo Sandro Pelone dell'Aeronautica Militare, Flight Engineer della missione ASSAT con il suo advisor afghano durante i controlli prevolo su un elicottero Mi-17 a Shindand.
Rispetto ai numerosi elicotteri occidentali sui cui abbiamo volato il Mi-17 ci è sembrato veramente spartano ed essenziale, quasi al limite del rozzo. Tutti i comandi sono del tipo tradizionale, cioè meccanici e assistiti da pochi attuatori idraulici, gli strumenti sono del tipo analogico e funzionano meccanicamente o con i dati generati dai soli tubi di pitòt. L’elettronica è praticamente inesistente e tutti gli apparati di comunicazione e posizionamento degli esemplari in uso a Shindand sono stati sostituti con modelli occidentali. Non c’è il condizionamento e mentre d’inverno è possibile ricorrere ad un efficiente sistema di riscaldamento nei climi caldi la ventilazione del posto di pilotaggio è affidata a due piccoli ventilatori stile "Fiat 600" degli anni ’50. Anche la struttura è visibilmente essenziale e quantunque il Mi-17 sia l’elicottero costruito nel mondo in maggiore numero di esemplari, oltre 12 mila comprese le versioni civili identificate con la sigla Mi-8, conserva l’aspetto di una costruzione quasi artigianale.
Le 2 turbine Klimov/Isotov TV3 a seconda delle varie versioni possono erogare ciascuna una potenza di quasi 2.000 HP che permette all’elicottero di operare in zone di alta montagna con un peso massimo al decollo di tutto rispetto, circa 13 tonnellate, imbarcando un intero plotone equipaggiato. Il Mil Mi-17 è tuttora in produzione nelle fabbriche originarie impiantate ai tempi dell’URSS a Kazan nella Repubblica di Tartatarn e Ula-Ude nella repubblica di Buryatia ma è interessante notare che il grande consorzio elicotteristico Eurocopter (Francia – Germania - Spagna) ha coinvolto il costruttore russo per lo sviluppo del progetto per il nuovo elicottero avanzato europeo denominato Euromil e ormai da anni sta trasferendo le sue avanzate competenze ai russi, soprattutto nel settore dell’avionica e dei sistemi di controllo e di gestione della potenza che nel Mi-17, essendo ancora di tipo meccanico, ne costituisce un limite operativo.
Quando tempo fa il Comandante in capo delle Forze Armate Afghane, Abdul Wahab Wardack annunciò che il governo degli Stati Uniti aveva stipulato con la Russia un contratto di 370 milioni di dollari per acquistare 21 Mi-17 destinati all'Afghanistan i media e le industrie americane sollevarono su questa scelta un grande polverone per il fatto che gli ex nemici dei tempi della ancora mal digerita guerra fredda avrebbero lavorato con i soldi del Pentagono.
Sopra: momenti di cameratismo tra il Tenente Colonnello Carmelo Giardina dell'Aeronautica militare, J7 Engineer Advisor ed il Colonnello Naim dell'Aeronautica Afghana durante un meeting per pianificare i lavori nella base aerea di Shindand.
Sotto: Un Mi-17 di ASSAT con sullo sfondo un Agusta A-129 dell'Aviazione dell'Esercito mentre effettua i controlli prevolo.
A bordo, oltre ai due piloti è necessaria anche la presenza del Flight Enginner che controlla i parametri dei motori e che di norma è seduto subito dietro ai piloti con al suo lato destro una piccola consolle i cui strumenti sono stati posizionati senza tener conto di qualsiasi concetto di ergonomia. Durante il nostro volo il posto del Flyng Engineer era occupato dal traduttore e il Flight Enginner italiano per poter guardare gli strumenti doveva effettuare i controlli stando in piedi, facendo capolino attraverso lo stretto varco di accesso al cockpit, in una posizione decisamente scomoda. Ma qui i voli hanno una procedura piuttosto originale con il pilota istruttore (italiano o ungherese) che parla in inglese al traduttore che a sua volta riferisce in dari o in pharsi all’allievo. Insomma, un bell'impegno, una vera sfida all'incomunicabilità delle lingue.
Il colonnello Luigi Casali si complimenta con gli advisor afghani dopo una sessione di addestramento. Alla sx il Luogotenente Tommaso Palmieri Advisor per la parte motorizzazione.
Eppure i risultati, a sentire le opinioni dei nostri piloti istruttori e la soddisfazione degli allievi, sono incoraggianti perché gli afghani sono pieni di volontà e compensano carenze scolastiche e culturali con un impegno degno di lode.
Un lato di costume curioso che coinvolge il team multinazionale di advisors e gli stessi allievi è che i turni di lavoro finiscono con una visita ad un forno, posto proprio all’entrata della base, dove in un ambiente simile all’antro di Vulcano una famiglia afghana prepara e vende il tipico pane locale appena sfornato, così buono e profumato che fa immediatamente dimenticare il vago senso del concetto di igiene che regna nel locale.
Un lato di costume curioso che coinvolge il team multinazionale di advisors e gli stessi allievi è che i turni di lavoro finiscono con una visita ad un forno, posto proprio all’entrata della base, dove in un ambiente simile all’antro di Vulcano una famiglia afghana prepara e vende il tipico pane locale appena sfornato, così buono e profumato che fa immediatamente dimenticare il vago senso del concetto di igiene che regna nel locale.
Del resto se gli afghani, che è inutile negarlo sono guerrieri nati, se lo mangiano così da almeno duemila anni tanto male non farà!
Sopra: il locale dove si prepara il pane afghano, buonissimo e cotto "appiccicandolo" al tetto del forno, proprio all'entrata della base di Shindand,.
Sotto: attività di collaborazione italo-afghana all'interno del forno: il capitano Cristoforo Russo, P.I. di ASSAT ha deciso di "intervenire" nel processo di panificazione, del resto la nostra è o non è una missione di "advisor"...
In questo contesto, in realtà più complesso e vasto di quanto non abbiamo raccontato in questo pur lungo articolo, si è svolta la cerimonia della consegna dei brevetti lo scorso 7 gennaio con il comandante afghano Abdul Wahab Wardack che ha esordito scandendo bene le sue parole: “Oggi è un grande giorno per i piloti e per tutti noi appartenenti alla giovane Aeronautica Afghana e per l’intera Nazione”.
Ma è stato un grande giorno anche per il personale della nostra Aeronautica Militare che rappresenta il fulcro di questa missione internazionale, decisamente importante non solo per la soddisfazione professionale di chi la sta conducendo in condizione di grandi disagi ma per i risvolti politici ed economici che la sostiegono e che aprono nuove opportunità alla politica estera italiana e alla sua industria.
Forse anche l'Italia ha finalmente accettato, senza polemiche di bottega, che la credibilità internazionale di una Nazione si consolida anche con il continuo confronto in simili iniziative, forse ancora distrattamente apprese ma sicuramente importanti per il futuro. (a.t.)
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