Luglio
2011, Italia:
Dopodomani
riparto per l’Afghanistan, è la terza volta in un anno. Mi hanno regalato un
paio di scarpe tattiche costose come delle Church che andarci a spasso da soli
per le polverose strade afghane sarebbe come passeggiare per il rione Sanità di
Napoli in t-shirt , con un daytona d’oro al polso o esporlo con il braccio
fuori dal finestrino mentre si procede in colonna a Lungotevere. Non ho avuto il
tempo di domarle e così nello zaino mi porto
ancora le mie vecchie Timberland (che diventano un comodo contenitore per batterie, cavi e smart card) già domate da una
missione in Libano, due in Afghanistan, due in Kenya, una in Sudan, poi in
Pakistan, Kosovo, Svalbard, Polonia e varie scorrazzate su carri armati,
elicotteri, Lince, C130, Pilatus e soprattutto molti aperitivi al Caffè dei
Portici.
Prima di partire per una missione oggettivamente
rischiosa cerco sempre di fare il disinvolto, ma nella mia mente iniziano a
sorgere pensieri che mi spingono a considerare i pericoli ed i disagi sostenuti
da una scelta esistenziale che attraversa e supera quella professionale, allora
mi dico: “è lavoro, è una tua scelta di vita perseguita e conquistata” e
mentre mi racconto queste storie l’attenzione si concentra su oggetti ed azioni
solo apparentemente marginali, in realtà piene di significati rituali, quasi
scaramantici. Mi ritrovo così a controllare l’attrezzatura scandendo la chek list come una giaculatoria; ma
è il rapporto con le mie vecchie timb che condiziona la liturgia della partenza. Per me sono più di
una polizza sulla vita o di una Beretta 92FS sotto la giacca, sono come delle
reliquie di un immaginario percorso di una qualche fede altrettanto
immaginaria, che ho disegnato arbitrariamente a misura di quei sentimenti
misteriosi che genericamente vengono identificati come anima. Pensando a queste cose mi accorgo che mentre le ingrasso e
le spazzolo in realtà le accarezzo. La realtà del cuoio ormai sdrucito e del vibram
sbeccato mi aiutano a riflettere e mi danno certezze perché come dice Drieu la Rochelle, nel suo libro Fuoco Fatuo, ”bisogna aderire alla
realtà delle cose”.
Per
un soldato le scarpe sono dopo il fucile l’equipaggiamento più importante così
come lo sono per un reporter dopo la telecamera e la macchina fotografica.
Il coraggio risiede nelle scarpe, per entrambi; quando la situazione ci impone di stare fermi dove si deve stare oppure quando, evaporando nella sua discesa verso i piedi il coraggio svanisce e mette in moto il “contenuto” delle scarpe, trasformandosi in fuga.
Il coraggio risiede nelle scarpe, per entrambi; quando la situazione ci impone di stare fermi dove si deve stare oppure quando, evaporando nella sua discesa verso i piedi il coraggio svanisce e mette in moto il “contenuto” delle scarpe, trasformandosi in fuga.
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