Un paracadutista della Folgore osserva il sorvolo dei due A-10 di scorta, attivato dal JTAC.
Ph Giusepe Lami/ANSA
Sono le 4,30 di mattina e la mensa di Bakwa è già aperta. Siamo insieme ai ragazzi della XXI Compagnia Giaguari dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti di Legnago che mangiano velocemente, in silenzio. Prima di uscire si mettono in tasca qualche confezione di biscotti. A bordo dei mezzi hanno già sistemato scorte di bottigliette d’acqua estratte dai congelatori, raffredderanno anche le altre già stipate nei contenitori termici. È ancora buio e la temperatura è già ben oltre i 30°. La sicurezza del convoglio è affidata alla capacità di questi giovani uomini, ma ci sono anche due ragazze: una minex che ho già incontrato in Libano ed un’infermiera, alla guida del Lince ambulanza, che ha già affrontato la difficile e dolorosa attività di recupero di colleghi caduti in azione tra cui il c.m. Roberto Marchini della XXI Compagnia, colpito a morte lo scorso 12 luglio. Come tutte le altre ragazze paracadutiste presenti qui alla FOB Lavaredo sono graziose quanto efficienti e la mimetica da' loro un fascino inaspettato. Nonostante la pianificazione quasi maniacale siamo anche noi coscienti che andiamo incontro a pericoli e insidie che, se necessario, saranno superate combattendo; ma come vedremo non siamo soli. Mi infilo l’elmetto di kevlar e, sopra i miei 50 euro meglio spesi degli ultimi mesi ed identificabili con la maglietta Drifire di Tacticatl Euipment, indosso il nuovo giubbetto balistico dell’EI, ampiamente protettivo, regolabile e dotato di un sistema di sgancio rapido, ma veramente molto pesante. I paracadutisti, compreso il comandante, hanno inoltre il 70/90 con le giberne piene di munizioni, la pistola, granate, la radio e altre dotazioni. Con la mia piccola e leggera telecamera, letteralmente coccolato dall’equipaggio del mio mezzo, non ho il coraggio di lamentarmi per il peso, la scomodità della cintura a cinque punti ed il caldo, che lungo il nero asfalto della Ring Road toccherà punte vicino ai 60 gradi. Alle 6 in punto, come previsto, la colonna inizia il movimento seguendo nel deserto le tracce aperte dal Buffalo e dai due Maxpro, poi, dietro i Lince, un corteo di vecchi trucks privati che sembrano usciti fuori dal film “Mad Max oltre la sfera del tuono”! A chiudere il convoglio altri Lince ed il camion officina e recupero chiamato Bullone. Io sono a bordo del Lince del comandante la XXI, il capitano Emanuele Malberti, 30 anni, di Milano, papà di due bambine, simpatico e pieno di carisma, un vero leader. Giuseppe è davanti a noi a bordo di uno dei due Maxpro dei minex con cui condividerà coraggiosamente l’attività di clearing fotografando spalla a spalla il loro difficile e rischioso lavoro. Il movimento inizia nel deserto, secondo un percorso che non ripercorre tracce precedenti. Gli afghani coltivano e poi abbandonano piccoli appezzamenti di terreno di circa 30 mq, sono come delle vasche rettangolari protette da un cordolo perimetrale di fango secco, duro come il cemento ed alto una ventina di centimetri. Questi “cosi” che non so proprio come chiamare si susseguono in ogni direzione per chilometri senza soluzione di continuità. Un martirio per le sospensioni dei Lince e soprattutto per noi, con l’uomo in ralla che viene sbattuto da una parte all’altra della sua botola come il battente di una campana. Una prova devastante per i vetusti trucks dei trasportatori, guidati da una coreografica fauna di autisti. Dopo pochi chilometri il rallista ci avverte che un filo attraversa la nostra pista virtuale: è un falso allarme ma l’episodio sta a dimostrare che qui distrarsi può voler dire morire. Un convoglio nel deserto afghano è una partita estrema tra chi vuole portare uomini e mezzi a destinazione e un’aberrante volontà assassina di impedirlo.
Un paracadutista della Folgore protegge con il Panzerfaust un momento di sosta del convoglio per neutralizzare un'eventuale auto suicida.
. Ph Giusepe Lami/ANSA
Dobbiamo raggiungere il bivio con la Ring Road a nord di Delaram evitando la
Route 517 che passa davanti alla FOB. È una strada non asfaltata, piena di carvert
ed impossibile da controllare. È una strada deserta, i bazar e le case che la
costeggiano sono state abbandonate dietro le intimidazioni dei talebani: la 517 viene chiamata la strada della morte. Sulla
mia sinistra, oltre le gambe dell’uomo in ralla, c’è il navigatore anche lui
strettamente legato al mezzo dalla cintura a cinque punti, davanti a se ha un
PC heavy duty della Panasonic, collegato ad un sistema satellitare, qui niente
è affidato al caso: la tecnologia, l’addestramento e le procedure sono gli
unici veri strumenti di protezione dagli IED. Su un magazine USA abbiamo letto
che ogni giorno nelle quattro aree di suddivisione dell’Afghanistan ne vengono
scoperti e disattivati una quarantina! Grazie al sofisticato sistema di navigazione
satellitare di cui è dotato il Lince sappiamo sempre dove siamo ma soprattutto
sappiamo dove sono gli altri mezzi dell’RCP americano e del kandar, il
battaglione dell’esercito afghano che dobbiamo scortare sino a Bala Baluk e con
cui abbiamo appuntamento lungo la Ring Road. Noi poi proseguiremo con la scorta
ai trucks sino a Farah. Quando finalmente raggiungiamo la Ring Road ci inseriamo
nel convoglio che comprende circa 2000 uomini a bordo di oltre 200 mezzi.
La
scorta e la difesa di questo poderoso dispositivo è affidata alla XXI Compagnia
Giaguari dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti. Un onere ancor prima che un
onore ed un’occasione formidabile per i tango
e gli insurgents che ritengono la
strada un dominio personale, percorribile dai mezzi civili senza scorta solo
dietro il pagamento del pizzo, pena la distruzione dei mezzi e la morte dei
conducenti.
Mezzi del RCP (Route Cleaning Packaging) americano. Ph Giusepe Lami/ANSA
La congiunzione con la Ring Road non è una mèta, è la linea di partenza per il nostro viaggio di circa duecento chilometri in colonna attraverso una delle zone più pericolose dell’Afghanistan. Aspettiamo che la colonna si ricomponga perché in questo primo tratto nel deserto i trucks avanzano con lentezza mentre i genieri iniziano a perlustrare il terreno per trovare una via d’accesso sicura, quindi una volta sull’asfalto della Ring Road l’intero convoglio si mette in moto.
Sulla Ring Road l'incontro tra l'RCP americano e il dispositivo italiano. Ph Giusepe Lami/ANSA
Davanti a tutti ci sono gli americani
dell’RCP (Route Cleaning Packaging) dotato di mezzi speciali in grado di
individuare gli IED anche se nascosti in profondità sotto il manto stradale e subito
dietro i Maxpro dei minex della XXI Compagnia, che hanno il compito di
neutralizzarli e farli brillare. Giuseppe Lami è con loro. Dietro il nucleo dei
genieri c’è il Lince del capitano Malberti, su cui mi trovo io e dietro altri 200 veicoli tra Lince, i pick up dell’ANA
(Afghanistan National Army) ed i camion civili che dobbiamo scortare; una
colonna lunga oltre 20 chilometri e protetta
da un formidabile apparato di sicurezza e controllo. Con noi c’è un team del JTAC
(Joint Terminal Air Control) in forza al 186°
Rgt. Paracadutisti, che procede a bordo di un Lince dotato di sofisticatissimi
sistemi di comunicazione. E' comandato
dal Maresciallo Massimo Roccisano, un paracadutista di trent’anni con un fisico
da gladiatore. Il compito del suo nucleo è quello di richiedere e guidare, in
lingua inglese, un intervento di appoggio aereo a difesa della colonna. In caso
di attacco con mortai o armi automatiche anche di piccolo calibro è possibile
rilevarne la posizione di tiro ed il JTAC provvederà ad inviare le coordinate agli
aerei perennemente in volo ad alta quota, dove il consumo di carburante è
minore. Infatti all’improvviso appaiono dal nulla due A10, armati dell’ormai
famigerato cannone da 30 mm Gatline a 7 canne rotanti in grado di sparare una
raffica di 70 colpi in un secondo e mezzo, capace di distruggere con una breve raffica qualunque carro armato o una postazione fortemente protetta. I loro supporti alari sono occupati da
vari tipi di bombe a guida attiva. I due A10 ci salutano battendo le ali mentre
sorvolano a bassa quota la colonna per
la sua lunghezza, sganciando flares per ingannare eventuali missili guidati dal
calore dei motori. Ma se gli A10 non fossero disponibili o insufficienti il
convoglio può contare anche sulla copertura di un B1 con a bordo 24 bombe attive di grosso calibro, sempre
guidate dall’attività del JTAC in forza al 186°. Anche il B1 sorvola per un saluto
la colonna con un rombo poderoso e con le ali in posizione di freccia.
Viste del convoglio, la fotografia qui sopra ritrae gli Humvee del kandar afghano.
Ph Giusepe Lami/ANSA
I tango e gli insurgents intuendo
il pericolo non si sono mostrati ma per
chilometri lungo il nostro lento procedere incontriamo numerosissime carcasse
di veicoli di ogni tipo, distrutti in precedenti agguati e nelle vicinanze delle
quali sono evidenti i tumuli di pietre e terra allineati verso la Mecca, sotto
cui sono stati sepolti gli sfortunati conducenti civili, pur essendo stati musulmani
come i loro assassini.
La temperatura dell’aria raggiunge punte
ben oltre i 50 gradi con l’asfalto letteralmente rovente, i sistemi di
raffreddamento di molti mezzi vanno in tilt ed alcuni devono essere
rimorchiati, così la media del convoglio si abbassa drasticamente. A bordo di
quello che considero il “mio” lince stringo amicizia con l’equipaggio,
soprattutto con il giovane paracadutista che sta in ralla. Si chiama Carlo de
Paoli, il mio compito è passargli le bottigliette d’acqua, se ne bevono
numerosissime, soprattutto lui che è perennemente esposto al sole, sempre in
piedi, sballottato di qua e di la ad ogni sussulto del mezzo, con gli
occhialoni e una kefia avvoltolata suI viso ed i guanti per proteggere le mani
dal calore rovente del metallo del Lince e della sua mitragliatrice. Quando grazie
a questa mia funzione di “portatore d’acqua” prendiamo un po’ di confidenza mi
indica cosa c’è sotto la sua pedana, a fianco al mio seggiolino e mi fa capire
che se necessario invece dell’acqua devo passargli quello che c’è dentro quelle
scatole di metallo grigioverde con le scritte gialle: sono i nastri della
Browing. Capisco che è più che altro un gesto di simpatia per farmi capire che
sono stato accettato come membro “effettivo” dell’equipaggio. Questo gesto mi
fa accarezzare i ricordi di quando ero comandante di plotone della Folgore presso la XIV Compagnia Pantere, nel 1970, quando
saltavo giù dal CM come un grillo mentre ora invece di saltare giù dal Lince ne
scendo con molta calma. Perché "ed è subito sera"
come Quasimodo descrisse l’inesorabilità della vita che nel suo procedere scorre
sempre più veloce.
Attività dei minex prima di inserirsi nella Ring Road
Ph Giusepe Lami/ANSA
Dopo più di dodici ore il kandar afghano
devia per Bala Baluk e così la colonna diventa più agile e veloce. Arriviamo alla
FOB di Farah alle 20, dopo circa 14 ore di viaggio, con il convoglio integro e senza
aver dovuto sparare neppure un colpo per aprici la strada. Quando ci riuniamo davanti alle tende che
ci hanno assegnato sembriamo dei masnadieri, visibilmente provati dal caldo,
dalla polvere, dalla stanchezza e dalla tensione ma i ragazzi della XXI hanno
ancora il coraggio e la forza di scherzare e si mettono a fare flessioni cogliendo
una sfida del loro capitano.
Il convoglio, scortato dalla XXI Compagnia dell'8° Rgt.Guastatori Folgore di Legnago, mentre riparte da Farah per rientrare a Bakwa.
Ph Giusepe Lami/ANSA
Dopo una sosta di 24 ore per
ricontrollare i mezzi e far riposare i paracadutisti il convoglio riparte alla
volta di Bakwa che è ancora notte con i vetusti truck civili carichi di
carburante, materiale da costruzione, acqua potabile e derrate alimentari. Ci
alziamo anche noi alle 3 di mattina per salutarli e mentre li vediamo sfilare
veniamo presi da un’apprensione inaspettata che sia io che Giuseppe ci
confideremo la sera, quando ci raggiunge la notizia che la "nostra" colonna è rientrata sana e salva. Veniamo anche a sapere che a Bala Baluk c’è stato un attacco e
quattro paracadutisti del 187° sono rimasti feriti. Come consuetudine non
sappiamo come sono andati i fatti e se i tango siano riusciti dopo il loro agguato a
sganciarsi oppure sono rimasti a terra, neutralizzati, pronti per essere tumulati con la testa verso
la Mecca, come i poveri conducenti civili dei convogli senza scorta, uccisi dalla loro barbara violenza. (a.t.)
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