Anche sui nostri media da qualche giorno è possibile avere notizie su questa azione di guerra prossima ventura il cui countdown è ormai iniziato e che potrebbe marcare l’evolversi dell’intero XXI secolo.
Negli ultimi giorni un crescendo di dichiarazioni rilasciate da figure istituzionali degli Stati uniti e di Israele hanno aperto definitivamente il sipario su questo conflitto più prossimo che possibile.
Ha iniziato il Capo di Stato Maggiore israeliano, Benny Gantz, che ha definito il 2012 “l’anno dell’Iran”. Lo scorso giovedì il capo dell’intelligence militare israeliana, Aviv Kochavi, ha detto che l’Iran “ha già materiale fissile sufficiente per costruire quattro bombe atomiche”.
Il giorno stesso Moshe Ya’alon, vice primo ministro ed ex capo di stato maggiore, annunciava che “Israele può distruggere tutte le strutture nucleari iraniane”.
Come risposta dagli USA il Segretario alla Difesa americano Leon Panetta ha rilasciato a David Ignatius, famoso giornalista del Washington Post, un’intervista in cui espone chiaramente che gli Stati Uniti temono che Israele possa attaccare i siti nucleari iraniani in “aprile, maggio o giugno. L’aviazione di Gerusalemme penserebbe di colpire i bersagli iraniani per 4 o 5 giorni” omettendo volutamente la precisazione: a prescindere dalle posizioni a riguardo del governo americano.
Perché la Casa Bianca è cosciente della determinazione di Israele e sta incominciando a rilasciare dichiarazioni che per quanto edulcorate non cambiano la gravità di questii venti di guerra.
Dal 2005, quando l’Iran organizzò una conferenza internazionale sul negazionismo dell’Olocausto minacciando apertamente di distruzione nucleare lo stato di Israele, sono stati in molti ad ipotizzare un possibile attacco aereo israeliano contro le installazioni nucleari iraniane, come era già avvenuto nel giugno del 1981 con l’organizzazione di uno spettacolare e complesso raids aereo contro il sito nucleare iracheno Tammuz, a Yuwaitah.
Ma i siti nucleari iraniani di Qom, Bushehr, Fordow e Isfahan sono molto più lontani dell’Iraq e sono tutti sotterranei e costruiti a notevole distanza uno dall’altro proprio per disperdere la forza d’urto di un eventuale attacco. Allo stato attuale delle cose è ormai chiaro che il problema non è più se ma quando questo attacco avverrà e già si incominciano a fare ipotesi sulla data in cui Israele effettuerà il suo strike definitivo contro le ambizioni nucleari di Teheran, animate da un odio antisemita alimentato dagli innumerevoli scontri e guerre che Israele ha sempre vinto umiliando e smentendo continuamente la roboante sicumera dei versetti coranici: “Ogni volta che i giudei accendono il fuoco di guerra, Allah lo spegne.” (Corano 5,64)
Nei più importanti quotidiani americani come il New York Times ed il Washinton Post analisti ed esperti della storia recente di Israele e del medio oriente in genere hanno esaminato con grande attenzione le “open source” sulla questione, ovvero le più recenti dichiarazioni pubbliche dello Stato Maggiore e del Governo di Tel Aviv di Benjamin Netanyahu, ma anche la posizione remissiva degli Stati uniti di fronte a questa eventualità.
Negli USA sono ormai in molti, anche tra i democratici, ad essere convinti che Obama non è Reagan e che il peso del suo veto per una simile azione militare non farebbe neppure vacillare Israele da questa decisione che sembrerebbe già in fase avanzata.
I Servizi israeliani seguono da sempre l’evolversi della situazione iraniana, ma con maggiore attenzione da quando l’Ayatollah Komeini iniziò a sviluppare la “rivoluzione islamica” e la politica del martirio in nome di Allah sostituendosi all’Iraq nel ruolo di nemico numero uno dell’ebraismo.
Nel 1982 quando ormai il tentativo di invasione dell’Iran da parte delle armate irachene di Saddam Hussein si era impantanato nelle paludi di Shatt el Arab e lo stesso dittatore iracheno iniziava a ventilare una trattativa per salvare l’Iraq e se stesso da una sconfitta terminale, Khomeini si defilò da questa scappatoia diplomatica. Con una raffinata abilità politica ma soprattutto con un cinismo incomprensibile per noi occidentali trasformò l’operazione militare, che aveva coagulato l’intero Iran in una guerra patriottica di difesa del territorio in quanto tale e non perché “parte” dell’Islam, in una grande guerra ideologica.
Il regime di Khomeini diede un affondo brutale all’esercito iracheno, ormai arroccato su posizioni non difendibili, preludio di una disfatta. Khomeini arruolò, o meglio, sottrasse alle famiglie decine di migliaia di bambini che con il simbolo del martirio, una fascia rossa sulla fronte, vennero usati per aprire campi minati facendoli saltare sulle mine o, imbottiti di esplosivo, istigati a lanciarsi sotto i cingoli dei carri iracheni o raggiungere in una disperata e folle corsa le postazioni di un nemico già sconfitto, per morire nella loro ingenuità infantile come "eroici martiri". Tutto questo non aveva una valenza strategica, era il modo per trasferire dal piano patriottico a quello religioso la guerra, piegando la volontà degli iraniani ed allargando la rivoluzione islamica verso occidente, oltre i confini dell'Iraq, sino a quelli israeliani.
Negli ultimi giorni un crescendo di dichiarazioni rilasciate da figure istituzionali degli Stati uniti e di Israele hanno aperto definitivamente il sipario su questo conflitto più prossimo che possibile.
Ha iniziato il Capo di Stato Maggiore israeliano, Benny Gantz, che ha definito il 2012 “l’anno dell’Iran”. Lo scorso giovedì il capo dell’intelligence militare israeliana, Aviv Kochavi, ha detto che l’Iran “ha già materiale fissile sufficiente per costruire quattro bombe atomiche”.
Il giorno stesso Moshe Ya’alon, vice primo ministro ed ex capo di stato maggiore, annunciava che “Israele può distruggere tutte le strutture nucleari iraniane”.
Come risposta dagli USA il Segretario alla Difesa americano Leon Panetta ha rilasciato a David Ignatius, famoso giornalista del Washington Post, un’intervista in cui espone chiaramente che gli Stati Uniti temono che Israele possa attaccare i siti nucleari iraniani in “aprile, maggio o giugno. L’aviazione di Gerusalemme penserebbe di colpire i bersagli iraniani per 4 o 5 giorni” omettendo volutamente la precisazione: a prescindere dalle posizioni a riguardo del governo americano.
Perché la Casa Bianca è cosciente della determinazione di Israele e sta incominciando a rilasciare dichiarazioni che per quanto edulcorate non cambiano la gravità di questii venti di guerra.
Dal 2005, quando l’Iran organizzò una conferenza internazionale sul negazionismo dell’Olocausto minacciando apertamente di distruzione nucleare lo stato di Israele, sono stati in molti ad ipotizzare un possibile attacco aereo israeliano contro le installazioni nucleari iraniane, come era già avvenuto nel giugno del 1981 con l’organizzazione di uno spettacolare e complesso raids aereo contro il sito nucleare iracheno Tammuz, a Yuwaitah.
Ma i siti nucleari iraniani di Qom, Bushehr, Fordow e Isfahan sono molto più lontani dell’Iraq e sono tutti sotterranei e costruiti a notevole distanza uno dall’altro proprio per disperdere la forza d’urto di un eventuale attacco. Allo stato attuale delle cose è ormai chiaro che il problema non è più se ma quando questo attacco avverrà e già si incominciano a fare ipotesi sulla data in cui Israele effettuerà il suo strike definitivo contro le ambizioni nucleari di Teheran, animate da un odio antisemita alimentato dagli innumerevoli scontri e guerre che Israele ha sempre vinto umiliando e smentendo continuamente la roboante sicumera dei versetti coranici: “Ogni volta che i giudei accendono il fuoco di guerra, Allah lo spegne.” (Corano 5,64)
Nei più importanti quotidiani americani come il New York Times ed il Washinton Post analisti ed esperti della storia recente di Israele e del medio oriente in genere hanno esaminato con grande attenzione le “open source” sulla questione, ovvero le più recenti dichiarazioni pubbliche dello Stato Maggiore e del Governo di Tel Aviv di Benjamin Netanyahu, ma anche la posizione remissiva degli Stati uniti di fronte a questa eventualità.
Negli USA sono ormai in molti, anche tra i democratici, ad essere convinti che Obama non è Reagan e che il peso del suo veto per una simile azione militare non farebbe neppure vacillare Israele da questa decisione che sembrerebbe già in fase avanzata.
I Servizi israeliani seguono da sempre l’evolversi della situazione iraniana, ma con maggiore attenzione da quando l’Ayatollah Komeini iniziò a sviluppare la “rivoluzione islamica” e la politica del martirio in nome di Allah sostituendosi all’Iraq nel ruolo di nemico numero uno dell’ebraismo.
Nel 1982 quando ormai il tentativo di invasione dell’Iran da parte delle armate irachene di Saddam Hussein si era impantanato nelle paludi di Shatt el Arab e lo stesso dittatore iracheno iniziava a ventilare una trattativa per salvare l’Iraq e se stesso da una sconfitta terminale, Khomeini si defilò da questa scappatoia diplomatica. Con una raffinata abilità politica ma soprattutto con un cinismo incomprensibile per noi occidentali trasformò l’operazione militare, che aveva coagulato l’intero Iran in una guerra patriottica di difesa del territorio in quanto tale e non perché “parte” dell’Islam, in una grande guerra ideologica.
Il regime di Khomeini diede un affondo brutale all’esercito iracheno, ormai arroccato su posizioni non difendibili, preludio di una disfatta. Khomeini arruolò, o meglio, sottrasse alle famiglie decine di migliaia di bambini che con il simbolo del martirio, una fascia rossa sulla fronte, vennero usati per aprire campi minati facendoli saltare sulle mine o, imbottiti di esplosivo, istigati a lanciarsi sotto i cingoli dei carri iracheni o raggiungere in una disperata e folle corsa le postazioni di un nemico già sconfitto, per morire nella loro ingenuità infantile come "eroici martiri". Tutto questo non aveva una valenza strategica, era il modo per trasferire dal piano patriottico a quello religioso la guerra, piegando la volontà degli iraniani ed allargando la rivoluzione islamica verso occidente, oltre i confini dell'Iraq, sino a quelli israeliani.
I bambini sopravvissuti alle battaglie quando rientravano tra le linee venivano accolti da un attore a cavallo travestito in guisa del profeta, che li precedeva verso il campo mentre i piccoli cantavano inni di guerra e di martirio. Sono nati così gli shaid-killer, i martiri assassini che hanno cambiato il modo di combattere dell’Islam, creando un’ideologia della morte che per raggiungere i suoi scopi politici utilizza uomini, donne, bambini e bambine come armi a perdere. Questo culto del martirio è ormai diffuso ed accettato nei territori palestinesi alimentato da un’intensa campagna di esaltazione e di mistificazione come quotidianamente è possibile vedere nelle televisioni e come viene insegnato nella scuola palestinese, sostenuta tra l'altro da fondi milionari della Comunità Europea, o nelle moschee dove gli Imam inneggiano all'eroismo del martire e alla distruzione di Israele. L’Iran, tramite questa religione della morte, è così riuscita a portare la sua volontà di cancellare i giudei dalla faccia della terra sino ai confini con Israele che ha però assorbito e battuto anche questo nuovo tipo di terrorismo. Ma l’Iran non si è data per vinta, come più volte pubblicamente dichiarato da Ahmadinejad è ormai prossima ad avere le bombe atomiche necessarie per mettere finalmente in atto la “soluzione finale” iniziata dai nazisti, creando però un po’ di confusione ideologica perché è proprio l’Iran la “patria” del negazionismo dell’Olocausto; ma questa discrepanza è comprensibile perché la cancellazione degli ebrei dalla faccia della terra è un privilegio che un integralista musulmano non può spartire con nessun infedele per quanto cinico, spietato e molto più efficiente sul piano dei risultati come la storia ci ha tristemente insegnato.
Da anni la situazione ai confini con Israele è relativamente calma, ma per un motivo ben preciso. L’Iran ha interesse a tenere bassa la tensione, ha fornito armi sofisticate come missili a medio raggio a propellente solido, molto più sicuri e facili da manovrare rispetto a quelli a propellente liquido forniti in precedenza, sistemi di guerra elettronica e grandi quantità di razzi, armi e munizioni di ogni tipo. Quando sarà pronta “la bomba” Israele si troverà distratta ad affrontare un esercito di giovani e bambini shaid-killer plagiati dalle scuole, dalle moschee e dalla Tv palestinese, sostanzialmente piegati alla volontà dell’Iran che non per caso è il più grande sostenitore della causa palestinese. Ma oltre ai sahid-killer la Palestina è rafforzata da un rinnovato esercito di miliziani e terroristi equipaggiati e addestrati come mai lo sono stati in precedenza, preparati per vere azioni militari e non per atti di terrorismo uccidi e fuggi.
Israele si estende su una superficie più piccola di quella della Sicilia e non può difendersi sulla linea di confine, deve pertanto allargare il più possibile verso l’esterno la sue linee di difesa con azioni di interdizione aerea e, dove possibile come nella valle della Bekaa, con l'uso di reparti corazzati. Tanto meno può assorbire l’impatto e gli effetti di un attacco nucleare. L’unico modo che ha per difendersi da questa minaccia di olocausto nucleare è quello di bloccare la costruzione delle bombe iraniane ed è ormai altrettanto certo che lo farà anche senza il consenso e l’appoggio politico e militare degli USA di Obama, ormai già in piena sbronza preelettorale.
Secondo fonti di intelligence occidentali e israeliane l’attività di arricchimento dell’uranio iraniano è quasi alla metà del suo ciclo di produzione e permetterà la costruzione di almeno 4 bombe entro l’anno ed il cui vettore è già stato collaudato più volte e con successo. Le ventilate sanzioni dell’ONU verso l’Iran non saranno attive che nel cuore dell’estate, se mai lo saranno vista la recente posizione di Cina e Russia nella questione siriana. Sarebbero comunque sanzioni tardive e soprattutto inutili perché più volte la “rivoluzione mondiale islamica” dei discepoli di Komheini ha dimostrato di infischiarsene alla grande di ciò che pensa il resto del mondo sulle proprie scelte, alla stessa misura in cui un lestofante irride ai cartelli che sugli autobus romani mettono in guardia i turisti dall’attività dei borseggiatori.
Lo scenario allo stato attuale è pertanto il seguente: l’Iran attacca Israele ed il fragile equilibrio su cui si basa la pace mondiale evaporerà come una bolla di sapone innescando situazioni che nel migliore dei casi saranno drammatiche e si espanderanno per migliaia di chilometri e non mi riferisco solo agli effetti di fallout di un’esplosione nucleare. Se sarà invece Israele ad attaccare per prima idem come sopra.
Secondo il Segretario americano alla Difesa Leon Panetta entro aprile o maggio gli israeliani scateneranno un attacco aereo della durata di 4 o 5 giorni preceduto da lanci di missili. Rimane a mio avviso un dubbio. Per quanto l’aviazione israeliana sia probabilmente quella meglio organizzata ed addestrata a livello mondiale è comunque di dimensioni ridotte e non dispone di bombardieri strategici. Organizzare centinaia di missioni in pochi giorni con aerei come gli F16 e gli F15 a grandi distanze dalle loro basi, della durata di almeno 12 ore se non più e con la necessità di numerosi rifornimenti in volo praticamente anche nello spazio aereo iraniano, non è una cosa facile da organizzare e portare a termine. L’aviazione militare e la difesa aerea iraniana non sono come quelle siriane, egiziane o irachene ed i suoi comandanti, i piloti ed i tecnici sono preparati ad una difesa aerea dei loro cieli.
Anche affidare l’attacco ai soli missili sembra un’ipotesi non credibile, perché per quanto molto precisi possono portare solo quantità ridotte di esplosivo convenzionale che farebbero una specie di solletico alla bramosia distruttiva iraniana. Ma se invece delle testate convenzionali usassero quelle “altre” testate che Israele ha ormai da molto tempo, sin da quando ne iniziò lo studio con i sudafricani con cui fece i primi esperimenti molti, ma molti anni fa?
C’è infine un’ultima possibilità: la caduta pilotata del regime iraniano temuto ma essenzialmente odiato da gran parte della gioventù, formatasi più sullo studio delle materie scientifiche che sul Corano.
Quattro mesi passano in fretta e sicuramente in questo lasso di tempo cambieranno molte cose.
(Antonello Tiracchia)
Da anni la situazione ai confini con Israele è relativamente calma, ma per un motivo ben preciso. L’Iran ha interesse a tenere bassa la tensione, ha fornito armi sofisticate come missili a medio raggio a propellente solido, molto più sicuri e facili da manovrare rispetto a quelli a propellente liquido forniti in precedenza, sistemi di guerra elettronica e grandi quantità di razzi, armi e munizioni di ogni tipo. Quando sarà pronta “la bomba” Israele si troverà distratta ad affrontare un esercito di giovani e bambini shaid-killer plagiati dalle scuole, dalle moschee e dalla Tv palestinese, sostanzialmente piegati alla volontà dell’Iran che non per caso è il più grande sostenitore della causa palestinese. Ma oltre ai sahid-killer la Palestina è rafforzata da un rinnovato esercito di miliziani e terroristi equipaggiati e addestrati come mai lo sono stati in precedenza, preparati per vere azioni militari e non per atti di terrorismo uccidi e fuggi.
Israele si estende su una superficie più piccola di quella della Sicilia e non può difendersi sulla linea di confine, deve pertanto allargare il più possibile verso l’esterno la sue linee di difesa con azioni di interdizione aerea e, dove possibile come nella valle della Bekaa, con l'uso di reparti corazzati. Tanto meno può assorbire l’impatto e gli effetti di un attacco nucleare. L’unico modo che ha per difendersi da questa minaccia di olocausto nucleare è quello di bloccare la costruzione delle bombe iraniane ed è ormai altrettanto certo che lo farà anche senza il consenso e l’appoggio politico e militare degli USA di Obama, ormai già in piena sbronza preelettorale.
Secondo fonti di intelligence occidentali e israeliane l’attività di arricchimento dell’uranio iraniano è quasi alla metà del suo ciclo di produzione e permetterà la costruzione di almeno 4 bombe entro l’anno ed il cui vettore è già stato collaudato più volte e con successo. Le ventilate sanzioni dell’ONU verso l’Iran non saranno attive che nel cuore dell’estate, se mai lo saranno vista la recente posizione di Cina e Russia nella questione siriana. Sarebbero comunque sanzioni tardive e soprattutto inutili perché più volte la “rivoluzione mondiale islamica” dei discepoli di Komheini ha dimostrato di infischiarsene alla grande di ciò che pensa il resto del mondo sulle proprie scelte, alla stessa misura in cui un lestofante irride ai cartelli che sugli autobus romani mettono in guardia i turisti dall’attività dei borseggiatori.
Lo scenario allo stato attuale è pertanto il seguente: l’Iran attacca Israele ed il fragile equilibrio su cui si basa la pace mondiale evaporerà come una bolla di sapone innescando situazioni che nel migliore dei casi saranno drammatiche e si espanderanno per migliaia di chilometri e non mi riferisco solo agli effetti di fallout di un’esplosione nucleare. Se sarà invece Israele ad attaccare per prima idem come sopra.
Secondo il Segretario americano alla Difesa Leon Panetta entro aprile o maggio gli israeliani scateneranno un attacco aereo della durata di 4 o 5 giorni preceduto da lanci di missili. Rimane a mio avviso un dubbio. Per quanto l’aviazione israeliana sia probabilmente quella meglio organizzata ed addestrata a livello mondiale è comunque di dimensioni ridotte e non dispone di bombardieri strategici. Organizzare centinaia di missioni in pochi giorni con aerei come gli F16 e gli F15 a grandi distanze dalle loro basi, della durata di almeno 12 ore se non più e con la necessità di numerosi rifornimenti in volo praticamente anche nello spazio aereo iraniano, non è una cosa facile da organizzare e portare a termine. L’aviazione militare e la difesa aerea iraniana non sono come quelle siriane, egiziane o irachene ed i suoi comandanti, i piloti ed i tecnici sono preparati ad una difesa aerea dei loro cieli.
Anche affidare l’attacco ai soli missili sembra un’ipotesi non credibile, perché per quanto molto precisi possono portare solo quantità ridotte di esplosivo convenzionale che farebbero una specie di solletico alla bramosia distruttiva iraniana. Ma se invece delle testate convenzionali usassero quelle “altre” testate che Israele ha ormai da molto tempo, sin da quando ne iniziò lo studio con i sudafricani con cui fece i primi esperimenti molti, ma molti anni fa?
C’è infine un’ultima possibilità: la caduta pilotata del regime iraniano temuto ma essenzialmente odiato da gran parte della gioventù, formatasi più sullo studio delle materie scientifiche che sul Corano.
Quattro mesi passano in fretta e sicuramente in questo lasso di tempo cambieranno molte cose.
(Antonello Tiracchia)
Nessun commento:
Posta un commento