Giuseppe Lami
Una notte all’addiaccio prima di una missione i militari la chiamano RON (Rest Of Night) la cui traduzione italiana – il resto della notte - sembrerebbe un verso poetico, penso a questo alle 2 di mattina del 3 agosto, ora afghana, mentre sono sdraiato supino su una brandina da campo e guardo il cielo che sovrasta il deserto intorno a Bakwa. Un cielo incredibilmente luminoso, come ormai in Italia non è più possibile vedere per l’inquinamento atmosferico e luminoso. I ragazzi del 2° Plotone della XIV Compagnia Pantere del 186° Rgt. Paracadutisti dormono nelle brandine affiancate alla mia, oppure guardano il cielo, come me, solo i due gunner di turno sono realmente svegli, alla ralla, e controllano il loro settore di tiro con le camere termiche.
I due Lince ronfano sornioni, a bordo ci sono così tanti apparati che non è possibile spegnere il motore.
Ci sono 32 gradi di temperatura, non c’è umidità, solo una piacevole brezza leggera, distante dalla violenza di questa zona come lo sono le stelle.
Intorno a noi, ma lontani, sono disseminati secondo schemi precisi, almeno altri 10 VTLM Lince e altrettanti pick-up dell’Afghanistan National Army e alcuni altri dell’ANP, la polizia.
Sopra di noi c’è un Predator della nostra Aeronautica Militare, invisibile e silenzioso, che fa la sentinella con le sue diavolerie elettroniche. Con i binocoli per la visione notturna si vede chiaramente il suo raggio laser che sembra generato dalle stelle e che scansiona il terreno. È una visione inquietante anche se è il nostro angelo custode.
Resterà in volo tutta la notte e ci accompagnerà durante l’attività di search; a centinaia di chilometri di distanza ad Herat almeno 4 uomini pilotano ed analizzano la moltitudine di dati raccolti da questo strano aereo senza pilota e sono pronti a riferire al nostro TOC ogni minimo cambiamento della situazione tattica intorno a noi.
Alle 4.30 l’intero dispositivo si mette in moto, dividendosi in due gruppi.
Giuseppe Lami
Gli scherzi e l’allegria della notte all’addiaccio non ci sono più. Tutto funziona secondo schemi collaudati. Il mio dispositivo raggiunge, muovendosi velocemente in fuoristrada, il nostro primo obiettivo, un compound isolato. Lo scopo dell’operazione è raccogliere informazioni e individuare alcuni talebani che l’intelligence ritiene usino questi piccoli villaggi come base. In prossimità dell’obiettivo alcuni Lince si allargano a ventaglio ed in pochi minuti il piccolo complesso di case è, come si dice nel linguaggio militare, cinturato.
La grande distesa di questa valle è piatta come un biliardo, i tiratori scelti e gli uomini in ralla costituiscono uno sbarramento reale per chi vuole scappare dal villaggio o per chi vuole entrarci o solo avvicinarsi con cattive intenzioni.
Sono dentro un’operazione militare vera, i colpi in canna sono veri, il caldo è vero ed anche la tensione, che mette in circolo l’adrenalina, è vera; lo vedi dagli occhi di questi ragazzi, non battono le palpebre, sono ben aperti e si capisce che sanno bene ciò che sta accadendo o potrebbe accadere. Sono il quinto passeggero del Lince e mi muovo letteralmente incollato al comandante il mio plotone, il maresciallo Gabriele Pinna, detto Teschio; è un mezzofondista e appena può si fa qualche chilometro di corsa, dentro la base, giusto per tenersi in forma!
Abbiamo avuto un ordine tassativo “…potete partecipare ma solo rispettando gli ordini dei comandanti a cui siete stati assegnati!”. Per me ed il mio collega Giuseppe Lami va benissimo, sappiamo che siamo i primi reporter civili ad essere qui e seguire un’operazione simile, ci riteniamo dei privilegiati. Poco distante da me c’è Leonardo Arenare, il combat-cam del Reggimento, ha la reflex ma anche il 70/90 e tutto il resto dell’armamentario di un fuciliere paracadutista, ma rispetto agli altri si muove con maggiore indipendenza. Cerco di imitarlo e pian piano il comandante del plotone mi lascia maggiore autonomia, si fida, ha visto che rispetto le regole basi di un’operazione militare. Quando c’è qualche cosa che non devo riprendere perché potrebbe offendere gli abitanti di questo piccolo angolo di mondo, mi lancia uno sguardo e fa passare la mano davanti alla gola: vuol dire taglia, lascia perdere.
Giuseppe Lami
Tutto si svolge con grande calma, ufficialmente sono i rappresentanti dell’esercito e della polizia afghana a fare le domande, ad entrare nei locali ma in realtà è evidente che chi tiene la situazione sotto controllo sono i nostri paracadutisti perché è comunque un’irruzione con le armi con il colpo in canna, con gli afghani che mostrano visibili carenze sotto il profilo dell’addestramento e può succedere di tutto. Con il comandante afghano c’è il suo mentor, è del San Marco, si lanciano spesso sguardi di intesa oppure parlano tra di loro a bassa voce, direttamente in inglese o con l’interprete, in mimetica anche lui ma senza stellette e patch, il viso è parzialmente coperto da una kefiah.
Giuseppe Lami
Andiamo avanti per ore, compound dopo compound. A metà giornata rientriamo alla base, è il momento più delicato perché potremmo essere oggetto di un’imboscata, ormai la nostra presenza è diventata palese e sopra di noi due Apache americani, carichi di razzi coprono i lati della colonna muovendosi alla nostra stessa velocità, vediamo chiaramente il loro cannone a canne rotanti muoversi nella direzione in cui il pilota punta il suo sguardo.
Leonardo Arenare
Siamo provati dalla fatica e dai 50° di temperatura esterna, dalla tensione e dalla complessità dell’operazione. Non è stato sparato neanche un colpo, non c’è stato nessun episodio sgradevole, gli afghani hanno arrestato alcuni presunti insorgenti e la nostra task force ha effettuato numerosi controlli biometrici e raccolto ulteriori informazioni. Una volta dentro la FOB Lavaredo la tensione è ormai calata, i ragazzi non perdono tempo, svuotano il Lince, rassettano armi ed equipaggiamento mentre i comandanti di plotone ed i comandanti di squadra vanno a rapporto per il debriefing dal giovane capitano Salvatore Piazza che comanda la compagnia. Io e il mio collega Giusepe Lami, che era nell’altra task force, raggiungiamo la nostra tenda e ci togliamo l’elmetto e la pesante vest con le piastre di protezione balistica. Poi, dopo una rapida visita al container delle docce ci mettiamo al lavoro, a Bakwa c’è una linea wifire satellitare, possiamo spedire foto all’ANSA e postare i primi appunti. Dopo qualche giorno c’è stata un’altra RON e una quarantina di insorgenti hanno tentato un assalto nel cuore della notte, sventato sul nascere dai tiri delle 12.7 e dei Sako dei tiratori scelti. Normale amministrazione qui a Bakwa per i paracadutisti della FOB Lavaredo.
(Antonello Tiracchia)