giovedì 15 dicembre 2011

TRA PAURA E CORAGGIO


 

Luglio 2011, Italia:
Dopodomani riparto per l’Afghanistan, è la terza volta in un anno. Mi hanno regalato un paio di scarpe tattiche costose come delle Church che andarci a spasso da soli per le polverose strade afghane sarebbe come passeggiare per il rione Sanità di Napoli in t-shirt , con un daytona d’oro al polso o esporlo con il braccio fuori dal finestrino mentre si procede in colonna a Lungotevere. Non ho avuto il tempo di domarle  e così nello zaino mi porto ancora le mie vecchie Timberland (che diventano un comodo contenitore per  batterie, cavi e smart card) già domate da una missione in Libano, due in Afghanistan, due in Kenya, una in Sudan, poi in Pakistan, Kosovo, Svalbard, Polonia e varie scorrazzate su carri armati, elicotteri, Lince, C130, Pilatus e soprattutto molti aperitivi al Caffè dei Portici.
Prima di partire per una missione oggettivamente rischiosa cerco sempre di fare il disinvolto, ma nella mia mente iniziano a sorgere pensieri che mi spingono a considerare i pericoli ed i disagi sostenuti da una scelta esistenziale che attraversa e supera quella professionale, allora mi dico: “è lavoro, è una tua scelta di vita perseguita e conquistata” e mentre mi racconto queste storie l’attenzione si concentra su oggetti ed azioni solo apparentemente marginali, in realtà piene di significati rituali, quasi scaramantici. Mi ritrovo così a controllare l’attrezzatura  scandendo la chek list come una giaculatoria; ma è il rapporto con le mie vecchie timb che condiziona  la liturgia della partenza. Per me sono più di una polizza sulla vita o di una Beretta 92FS sotto la giacca, sono come delle reliquie di un immaginario percorso di una qualche fede altrettanto immaginaria, che ho disegnato arbitrariamente a misura di quei sentimenti misteriosi che genericamente vengono identificati come anima. Pensando a queste cose mi accorgo che mentre le ingrasso e le spazzolo in realtà le accarezzo. La realtà del cuoio ormai sdrucito e del vibram sbeccato mi aiutano a riflettere e mi danno certezze perché come dice  Drieu la Rochelle, nel suo libro Fuoco Fatuo, ”bisogna aderire alla realtà delle cose”.  
Per un soldato le scarpe sono dopo il fucile l’equipaggiamento più importante così come lo sono per un reporter dopo la telecamera e la macchina fotografica.
Il coraggio  risiede nelle scarpe, per entrambi; quando la situazione ci impone di stare fermi dove si deve stare oppure quando, evaporando nella sua discesa verso i piedi il coraggio svanisce e mette in moto il “contenuto” delle scarpe, trasformandosi in fuga.


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