martedì 31 gennaio 2012

UNA RON SOTTO IL CIELO DI BAKWA


 Giuseppe Lami
Una notte all’addiaccio prima di una missione i militari la chiamano RON (Rest Of Night) la cui traduzione italiana – il resto della notte - sembrerebbe un verso poetico, penso a questo alle 2 di mattina del 3 agosto, ora afghana, mentre sono sdraiato supino su una brandina da campo e guardo il cielo che sovrasta il deserto intorno a Bakwa. Un cielo incredibilmente luminoso, come ormai in Italia non è più possibile vedere per l’inquinamento atmosferico e luminoso.
I ragazzi del 2° Plotone della XIV Compagnia Pantere del 186° Rgt. Paracadutisti dormono nelle brandine affiancate alla mia, oppure guardano il cielo, come me, solo i due gunner di turno sono realmente svegli, alla ralla, e controllano il loro settore di tiro con le camere termiche.
I due Lince ronfano sornioni, a bordo ci sono così tanti apparati che non è possibile spegnere il motore.
Ci sono 32 gradi di temperatura, non c’è umidità, solo una piacevole brezza leggera, distante dalla violenza di questa zona come lo sono le stelle.
Intorno a noi, ma lontani, sono disseminati secondo schemi precisi, almeno altri 10 VTLM Lince e altrettanti pick-up dell’Afghanistan National Army e alcuni altri dell’ANP, la polizia.
Sopra di noi c’è un Predator della nostra Aeronautica Militare, invisibile e silenzioso, che fa la sentinella con le sue diavolerie elettroniche. Con i binocoli per la visione notturna si vede chiaramente il suo raggio laser che sembra generato dalle stelle e che scansiona il terreno. È una visione inquietante anche se è il nostro angelo custode.
Resterà in volo tutta la notte e ci accompagnerà durante l’attività di search; a centinaia di chilometri di distanza ad Herat almeno 4 uomini pilotano ed analizzano la moltitudine di dati raccolti da questo strano aereo senza pilota e sono pronti a riferire al nostro TOC ogni minimo cambiamento della situazione tattica intorno a noi.
Alle 4.30 l’intero dispositivo si mette in moto, dividendosi in due gruppi. 

Giuseppe Lami


Gli scherzi e l’allegria della notte all’addiaccio non ci sono più. Tutto funziona secondo schemi collaudati.  Il mio dispositivo raggiunge, muovendosi velocemente in fuoristrada,  il nostro primo obiettivo, un compound  isolato. Lo scopo dell’operazione è raccogliere informazioni e individuare alcuni talebani che l’intelligence ritiene usino questi piccoli villaggi come base. In prossimità dell’obiettivo alcuni Lince si allargano a ventaglio ed in pochi minuti il piccolo complesso di case è, come si dice nel linguaggio militare, cinturato.
La grande distesa di questa valle è piatta come un biliardo, i tiratori scelti e gli uomini in ralla costituiscono uno sbarramento reale per chi vuole scappare dal villaggio o per chi vuole entrarci o solo avvicinarsi con cattive intenzioni.
Sono dentro un’operazione militare vera, i colpi in canna sono veri, il caldo è vero ed anche la tensione, che mette in circolo l’adrenalina, è vera; lo vedi dagli occhi di questi ragazzi, non battono le palpebre, sono ben aperti e si capisce che sanno bene ciò che sta accadendo o potrebbe accadere. Sono il quinto passeggero del Lince e mi muovo letteralmente incollato al comandante il mio plotone, il maresciallo Gabriele Pinna, detto Teschio; è un mezzofondista e appena può si fa qualche chilometro di corsa, dentro la base, giusto per tenersi in forma! 
Abbiamo avuto un ordine tassativo  “…potete partecipare ma solo rispettando gli ordini dei comandanti a cui siete stati assegnati!”. Per me ed il mio collega Giuseppe Lami va benissimo, sappiamo che siamo i primi reporter civili ad essere qui e seguire un’operazione simile, ci riteniamo dei privilegiati. Poco distante da me c’è Leonardo Arenare, il combat-cam del Reggimento, ha la reflex ma anche il 70/90 e tutto il resto dell’armamentario di un fuciliere paracadutista, ma rispetto agli altri si muove con maggiore indipendenza. Cerco di imitarlo e pian piano il comandante del plotone mi lascia maggiore autonomia, si fida, ha visto che rispetto le regole basi di un’operazione militare. Quando c’è qualche cosa che non devo riprendere perché potrebbe offendere gli abitanti di questo piccolo angolo di mondo, mi lancia uno sguardo e fa passare la mano davanti alla gola: vuol dire taglia, lascia perdere. 


 Giuseppe Lami
Tutto si svolge con grande calma, ufficialmente sono i rappresentanti dell’esercito e della polizia afghana a fare le domande, ad entrare nei locali ma in realtà è evidente che chi tiene la situazione sotto controllo sono i nostri paracadutisti perché è comunque un’irruzione con le armi con il colpo in canna, con gli afghani che mostrano visibili carenze sotto il profilo dell’addestramento e può succedere di tutto. Con il comandante afghano c’è il suo mentor, è del San Marco, si lanciano spesso sguardi di intesa oppure parlano tra di loro a bassa voce, direttamente in inglese o con l’interprete, in mimetica anche lui ma senza stellette e patch, il viso è parzialmente coperto da una kefiah.




 Giuseppe Lami
Andiamo avanti per ore, compound dopo compound. A metà giornata rientriamo alla base, è il momento più delicato perché potremmo essere oggetto di un’imboscata, ormai la nostra presenza è diventata palese e sopra di noi due Apache americani, carichi di razzi coprono i lati della colonna muovendosi alla nostra stessa velocità, vediamo chiaramente il loro cannone a canne rotanti muoversi nella direzione in cui il pilota punta il suo sguardo.

 

Leonardo Arenare
Siamo provati dalla fatica e dai 50° di temperatura esterna, dalla tensione e dalla complessità dell’operazione. Non è stato sparato neanche un colpo, non c’è stato nessun episodio sgradevole, gli afghani hanno arrestato alcuni presunti insorgenti e la nostra task force ha effettuato numerosi controlli biometrici e raccolto ulteriori informazioni. Una volta dentro la FOB Lavaredo la tensione è ormai calata, i ragazzi non perdono tempo, svuotano il Lince, rassettano armi ed equipaggiamento mentre i comandanti di plotone ed i comandanti di squadra vanno a rapporto per il debriefing dal giovane capitano Salvatore Piazza che comanda la compagnia. Io e il mio collega Giusepe Lami, che era nell’altra task force, raggiungiamo la nostra tenda e ci togliamo l’elmetto e la pesante vest con le piastre di protezione balistica. Poi, dopo una rapida visita al container delle docce ci mettiamo al lavoro, a Bakwa c’è una linea wifire satellitare, possiamo spedire foto all’ANSA e postare i primi appunti. Dopo qualche giorno c’è stata un’altra RON e una quarantina di insorgenti hanno tentato un assalto nel cuore della notte, sventato sul nascere dai tiri delle 12.7 e dei Sako dei tiratori scelti. Normale amministrazione qui a Bakwa per i paracadutisti della FOB Lavaredo.
(Antonello Tiracchia)

domenica 29 gennaio 2012

AFGHANISTAN: I “SASSARINI” RICORDANO LA BATTAGLIA DEI “TRE MONTI”




Il P.I.O. (l'Ufficio Pubblica Informazione del RC-W) con il  comunicato stampa che segue a questa introduzione ci aiuta a riflettere sulla concetto che noi ripetiamo spesso tra le righe dei nostri post: senza memoria c'è solo barbarie. In una nazione distratta dalla mancanza di un progetto condiviso le FA adempiono alla loro funzione di tramandare tasselli della nostra storia che altrimenti resterebbero sepolti nel buio dell'indifferenza e dell'oblio.  

La Brigata “Sassari”, erede delle tradizioni del Terçio de Cerdena (periodo aragonese-spagnolo) e del Reggimento di Sardegna (periodo Sabaudo), fu costituita il 1° Marzo del 1915 a Tempio Pausania (SS) e a Sinnai (CA), su due Reggimenti, il 151° e il 152° fanteria, composti interamente da Sardi.
Nel luglio dello stesso anno attraversa l'Isonzo e viene subito impegnata in combattimento.
Bosco Cappuccio, Bosco Lancia, Bosco Triangolare furono tappe eroiche per il conseguimento del primo titolo d'onore che la Brigata conquistò espugnando le trincee delle "Frasche" e dei "Razzi", meritando la citazione, prima tra tutte le unita' dell'Esercito, sul bollettino del Comando Supremo. Spostata dal Carso sull'altipiano di Asiago, nel giugno 1916 riconquistò Monte Fior, Monte Castelgomberto e Casera Zebio. Il 3 agosto i suoi reggimenti ricevettero la prima Medaglia d'Oro.
Nei tragici giorni di Caporetto i fanti della "Sassari" contrastarono le avanguardie nemiche fino al Piave combattendo con straordinaria coesione morale, disperato orgoglio e granitica compattezza organica. Il battaglione "Musinu" fu l'ultimo dell'intero Esercito a passare il Piave, inquadrato e al passo, quasi irridendo il nemico che incalzava. Ultimi a ripiegare, i "Sassarini" furono i primi nella riscossa. Sull'altopiano dei "Sette Comuni", nel gennaio 1918, la Brigata fu protagonista della battaglia dei "Tre Monti" (Col de Rosso, Col d'Echele e Monte Valbella) che valse la seconda Medaglia d'Oro alle Bandiere dei reggimenti. 
La Grande Guerra costò alla "Sassari" oltre 15.000 perdite (2164 caduti e 12858 tra feriti, mutilati e dispersi). Caddero 138 Sassarini ogni 1000 incorporati (la media nazionale fu di 104). 6 Ordini Militari di Savoia, 9 Medaglie d'Oro, 405 d'Argento, 551 di Bronzo rappresentano il riconoscimento del valore individuale dei sardi che si batterono all'ombra delle due gloriose Bandiere, ciascuna delle quali venne decorata con 2 Medaglie d'Oro al V.M. (caso rimasto unico nel nostro Esercito, nell'arco di una sola campagna di guerra). 


 

PRESSE RELEASE: 2012–01–CA–772-312

HERAT, 28 Gennaio 2012 – Il Generale di Brigata Luciano Portolano,  Comandante del Comando Regionale Ovest  (Regional Command West- RC-West), Comando NATO a guida italiana su base Brigata “Sassari”, ha inviato una lettera a tutti i comandanti delle Task Forces (TFs) per commemorare il 94° anniversario della Battaglia dei “Tre Monti” (1918) coincidente con la Festa di Corpo dei Reggimenti storici della Brigata “Sassari” (151° e 152° reggimento).


La lettera, indirizzata alle unità della “Sassari” in Afghanistan, alle unità della coalizione impiegate nell’area di responsabilità di RC-West e ai distaccamenti della Brigata “Sassari” in Italia, ricorda i fatti d’arme che furono riportati nel bollettino di guerra dell’epoca, evidenziando il sacrificio dei “Diavoli Rossi” e dell’importante vittoria delle armi italiane che segnò la ripresa operativa e morale dell’Esercito Italiano.
La battaglia combattuta per l’intera giornata del 28 gennaio 1918 dal 151° e dal 152° reggimento della “SASSARI”, vide momenti di estrema drammaticità culminata con la morte del Comandante del 151° Reggimento. 
Gli austriaci resisi conto della difficoltà del momento dei “Sassarini”, poiché erano isolati e senza munizioni, si lanciarono all’attacco sicuri di riconquistare le posizioni perse.
In quegli attimi critici, il richiamo all’isola lontana risvegliò l’orgoglio e la fierezza tipica dei SARDI. I “Diavoli Rossi” decisero di contrattaccare all’arma bianca.
All’incitamento “Avanti Sardegna” rispose il grido di guerra “Forza Paris”, urlato all’unisono, che accompagnò il terribile contrattacco alla baionetta, condotto dai “Sassarini” con la forza della disperazione, disorientando e sorprendendo gli austriaci benché fossero in numero più elevato e ben armati.
Da circa quindici anni, i “Dimonios” operano con professionalità nei più diversificati scenari, a tutela della sicurezza e della pace. Dall’Albania alla Bosnia, dal Kosovo alla Macedonia, fino alle recenti missioni in Iraq e in Afghanistan, i fanti della “Sassari” si sono sempre distinti per generosità, serietà e riconosciute capacità professionali.
La lettera si conclude con l’antico grido di guerra della Brigata “Forza Paris”, “tutti insieme”, che da 94 anni alimenta il ricordo del valore dei “Dimonios”.

venerdì 27 gennaio 2012

ONORE AL 62° CORSO LEVIATHAN: UNA STORIA DELLA "X"


Oggi, 27 gennaio 2012, al Varignano presso la Sede del raggruppamento “Teseo Tesei”  hanno ricevuto  il Brevetto di Incursori della Marina i marinai che hanno superato il 62° Corso Leviathan.
Probabilmente per molti è una notizia minore e sarà ricordata dalla stampa locale e da qualche sito, ma di certo rimarrà impressa nei cuori di coloro che hanno raggiunto questo traguardo, il cui significato profondo è lontano anni luce dalla pochezza di una società nutrita di scandali, dove la disonestà e la furbizia più greve assurgono ormai a esempi di vita.
La vera notizia è sapere che ci sono ancora giovani uomini che hanno avuto il coraggio di scegliere un percorso di vita che li spinge, quotidianamente, a rimettersi in gioco vivendo nella riservatezza esperienze ed emozioni che solo chi le ha provate può capire.
Questi militari, come tutti i membri che hanno fatto e faranno parte di questo Reparto, sono consapevoli di essere gli eredi di un’epopea scritta da uomini eccezionali che spesso hanno pagato con la vita le loro scelte e il loro coraggio. Sono storie ormai cadute nell’oblio di una società indifferente e distratta che si forma in una scuola spesso ignorante e pasciuta di pregiudizi storici e politici che arriva ad indicare i terroristi, nemici reali della nostra società, come modelli di vita.

 
Io vorrei complimentarmi con questi giovani e rendere loro onore con ciò che rappresenta questa fotografia della Baia di Algesiras che ho scattato il 26 dicembre del 2008 dall'alto della Rocca di Gibilterra, dove era posizionata una batteria di cannoni da marina inglesi di grosso calibro. 
Mi ricordo perfettamente le emozioni che ho provato mentre scattavo la foto, consapevole del  significato di ciò che vedevo.
Sul promontorio che si erge all’orizzonte, chiamato Punta Maiorga, nel 1942 un italiano di nome  Antonio Ramognino, che aveva sposato una bella donna spagnola di nome Conchita, affittò una piccola villetta, diventata nota come Villa Carmela. 
 
Antonio Ramognino, un ingegnere della Piaggio che durante la guerra lavorava presso il reparto sviluppo della X MAS, si trasformò in un agente segreto e divenne il perno di una delle tante audaci azioni condotta dagli Affondatori della Regia Marina.
 Antonio Ramognino e sua moglie Conchita

Questa casa si trovava a poche decine di metri dal mare lungo la spiaggia che corre dalla foce del fiume Guadarranque alla cittadina spagnola di La Linea.
Un agevole e discreto collegamento con il mare era costituito dal letto quasi sempre asciutto di un torrentello che passava in prossimità della casa e che raggiungeva il mare effettuando una larga curva, passando sotto un ponticello.
Nei primi mesi del 1942 il Comando dei Mezzi d'Assalto era infatti orientato a considerare troppo dispendioso e rischioso l'impiego dei Siluri a Lenta Corsa (i così detti “maiali”) avvicinati da sommergibili per l'attacco ai mercantili che si trovavano ancorati in rada a Gibilterra all'esterno delle ostruzioni della base.
Il relativamente facile recupero in territorio spagnolo di quasi tutti gli operatori che avevano partecipato alle precedenti azioni contro Gibilterra, lasciava ben sperare di poter organizzare senza troppi rischi una base da cui un gruppo di Nuotatori Gamma avrebbe potuto agire contro piroscafi effettuando percorsi di andata e ritorno relativamente brevi.

Per facilitare l'azione dei sommozzatori era previsto l'impiego dei Battelli “R”, già in corso di realizzazione, che avrebbero consentito agli incursori di trasportare grosse cariche evitando faticosi e lenti spostamenti a nuoto.
Ramognino riuscì abbastanza facilmente e senza destare sospetti nelle autorità spagnole a prendere in affitto la casa con la scusa che la moglie convalescente aveva bisogno di un periodo di riposo in un clima caldo come quello del sud della Spagna.
Appena installatosi a Villa Carmela Antonio Ramognino fece costruire esternamente alla casa, verso il lato che dava sul mare, una piccola gabbia per pappagalli che celava un'apertura attraverso la quale, non visto, teneva costantemente sotto controllo i movimenti delle navi in rada .
Nello stesso tempo suggerì l'idea  di utilizzare l'Olterra, una nave italiana internata in Spagna nel porto di Algeciras che in realtà era la base segreta della X MAS da dove partivano gli SLC destinati ad operare contro Gibilterra.
Nonostante i battelli “R” non fossero ancora operativi la X MAS decise di effettuare una prima azione dei “Gamma” contro i piroscafi in rada partendo da Villa Carmela nella notte tra il 13 e 14 luglio 1942.
A bordo dell’Olterra erano infatti giunti dall’Italia dodici  operatori della X travestiti da marinai e meccanici della marina mercantile che si trasferirono a Villa Carmela e da qui attaccarono gli obiettivi riuscendo a danneggiare gravemente 4 piroscafi.
Tutti i “Gamma” rientrarono dalla missione, parte a Villa Carmela  e parte in altri punti della rada  dove furono arrestati dalle autorità spagnole e rimpatriati.
Sempre da Villa Carmela la notte del 14 settembre successivo prese il via
con tre nuotatori una seconda analoga operazione che portò all'affondamento del piroscafo Rovens Point.
Due dei tre operatori rientrarono a Villa Carmela mentre il terzo venne fermato dai Carabineros ma senza comunque rilasciare durante gli interrogatori
alcuna informazione .
Per l'intelligence britannico Algesiras resto' un mistero fino all'armistizio, quando venne rivelata agli alleati. E dopo la guerra Ramognino, esperto di astronomia e vela, torno' a Genova dove lavoro' a lungo per la Piaggio.

Antonio Ramognino è morto il 29 novembre 1997.
Tra i Nuotatori Gamma che operarono da Villa Carmela c’era anche Agostino Starulino, il più grande velista olimpico italiano che nel 1952 vinse la medaglia d’Oro alla Olimpiadi di Helsinki e quella d’argento a Melbourne con la classe Star. A 88 anni vinse per la quinta volta consecutiva la regata over 60 di Napoli.

Fonti:
I Mezzi D'Assalto della X Flottiglia MAS 1940-1945 di Marco Spertini e Erminio. Bagnasco – Albertelli Editore
X FLOTTIGLIA MAS di Junio Valerio Borghese – Garzanti Editore

giovedì 26 gennaio 2012

AFGHANISTAN: ATTACCATA PATTUGLIA ITALIANA

PRESS RELEASE: 2012–01–IA–771-311




HERAT, 26 Gen. 2012. Questo pomeriggio una pattuglia della Task Force Nord, su base 151° Reggimento “Sassari”, durante un’operazione congiunta con le forze di sicurezza afgane (ANSF), veniva fatta oggetto di un attacco a fuoco complesso e contemporaneamente coinvolta nell’esplosione di un ordigno improvvisato (IED- Improvised Explosive Device). Quattro soldati, a bordo di un veicolo protetto del Genio, del tipo MAXXPRO, colpito nell’esplosione sono stati sottoposti ai controlli sanitari di routine e informato le rispettive famiglie.
L’evento è avvenuto a circa 10 Km a Ovest di BALA MURGHAB, villaggio che ospita la FOB (Foward Operating Base) “COLUMBUS”, avamposto nel settore Nord dell’area di responsabilità italiana.
Il MAXXPRO è un veicolo resistente alle mine e protetto dai tiri di armi a tiro teso.

martedì 24 gennaio 2012

AFGHANISTAN: : SEQUESTRO DI MATERIALE D'ARMAMENTO

Press release: 2012–01–CA- 768-307


HERAT, 24 Gennaio 2012. Si è conclusa ieri, nel settore centrale dell’area di responsabilità del Comando Regionale Ovest (RC-West), a guida Brigata “Sassari”, una operazione che ha portato al sequestro di un importante quantitativo di materiale d’armamento ritrovato in due cachè.

In particolare, sono stati ritrovati razzi, bombe a mano, bombe da mortaio, proietti d’artiglieria di vario calibro e caratteristiche (contro carri- HEAT, alto esplosivo- HE, illuminanti), le cui buone condizioni di mantenimento presupponevano un imminente uso  per attacchi alle basi della coalizioni o per il confezionamento di ordigni improvvisati (IED – Improvised Explosive Devices).

 
L’operazione, condotta dalla Task Force (TF) Center, su base 66° Reggimento Aeromobile “Trieste”, è stata supportata da assetti dell’intelligence Nazionale appartenenti all’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE), e si è sviluppata in risposta ad un lancio di razzi contro la base di Shindand, Forward Operational Base (FOB) “La Marmora”, avvenuto lo scorso 19 Gennaio, che, tuttavia, non ha causato danni.




lunedì 23 gennaio 2012

MANUALE PER ASPIRANTI DITTATORI


 La foto di repertorio ha unicamente lo scopo di introdurre l'argomento

I nostri collaboratori sono proprio bravi. Leggete questa intervista realizzata da Giorgio Pisano è apparsa sul numero di sabato scorso sul quotidiano "L'UNIONE SARDA" e fate le vostre deduzioni.
http://unionesarda.it
COME MANIPOLARE CUORI E CERVELLI: MANUALE PER ASPIRANTI DITTATORI.
di GIORGIO PISANO

Ci osserva, ci studia, ci spia. Registra desideri, simpatie e antipatie politiche, intuisce frustrazioni, speranze e schieramenti. Poi decide se è il caso di intervenire: cambiandoci il cervello.
Si chiama demodoxalogia. Francesco Bergamo, uno dei massimi esperti italiani del ramo, la definisce «una disciplina che insegna a capire l'opinione pubblica, indirizzarla e controllarla». Ammette che può «essere pericolosa: in mano a un potenziale dittatore dei nostri tempi farebbe sfracelli». Non a caso se ne servono i servizi segreti di tutto il mondo, gli strateghi della guerra. E quelli delle comunicazioni di massa.
Nata quasi un secolo fa, la demodoxalogia è ritornata dopo un lungo periodo di silenzio nelle aule universitarie. Non va confusa con i sondaggi d'opinione, le campionature o i microreferendum che riempiono giornali e televisioni. È qualcosa di più approfondito e, per molti versi, più inquietante. Basti dire che richiede caratteristiche molto particolari a chi vuole imparare l'abicì di una tecnica che può portare molto lontano. Nel bene e nel male.
Quarantacinque anni, una figlia, pendolare a tempo pieno fra Venezia e il resto del Paese, Francesco Bergamo tiene molto a precisare che dietro questa disciplina non c'è niente di esoterico: la massoneria, detto più brutalmente, non c'entra. Giornalista al seguito delle Forze armate in missione all'estero, addetto stampa di diverse aziende e società (compresa quella che raccoglie gli italiani col più alto quoziente intellettivo), ha perfezionato il “metodo inde” ossia la lettura trasversale dei telegiornali: capire, e non solo, perché vanno in onda certe notizie e altre invece no. Ma soprattutto rilevare l'andamento generale della popolazione, le pulsioni collettive, finalità recondite di certe battaglie civili, analisi di leadership nascenti. In parole povere, la demodoxalogia vive in mezzo a noi ma non siamo in grado di accorgercene. È uno strumento capace di farci mutare rotta, condizionare scelte e opinioni. Una sorta di microscopio, insomma, che ci tiene costantemente sotto osservazione, quasi fossimo farfalle da collezione. «In determinate occasioni può servire ad abbindolare l'opinione pubblica».
Direttore di una piccola (e storica) agenzia di stampa a Roma, appassionato di rugby, Bergamo racconta una “febbre” iniziata per caso. Nel Duemila lo ha folgorato la partecipazione a un convegno in cui si spiegava come si forma e si manovra l'opinione pubblica, tema che ha finito per diventare la ragione della sua vita. Negli anni ha contribuito ad allargare il raggio d'azione dell'intelligence militare e civile dimostrando che vi sono molte fonti aperte (quotidiani e tivù) da dove si possono raccogliere informazioni preziose in vista di grandi manovre sulla testa e il cuore della gente. Su questo argomento ha scritto un articolo su “Pagine di Difesa” che risulta il più cliccato in assoluto, più letto perfino di quelli che compaiono sul sito ufficiale dei Servizi segreti.
Ce n'è quanto basta per cercare di saperne di più. Bergamo, che immagina quali siano curiosità e timori dell'uomo della strada, non aspetta altro. «Per sgombrare il campo da sospetti, bugie e illazioni».
Cos'è davvero la demodoxalogia?
«La scienza che studia l'opinione pubblica e i suoi messaggi. È nata nel '28 a Perugia dal genio del professor Paolo Orano. La demodoxalogia (dal greco demo, doxa, logos) significa “discorso sopra il popolo”. Fu insegnata all'Università Pro Deo che oggi si chiama Luiss. È sopravvissuta grazie a poche persone. In quanto scienza fascista scomparve perché scomoda e pericolosa».
Chi se ne serve?
«Durante il Ventennio monitorava la pubblica opinione. Ora va per la maggiore, presso i servizi segreti, la versione militare Nato. In ambito civile viene usata da chi si occupa di relazioni esterne, addetti stampa e giornalisti. I demodoxaloghi se ne servono per lo studio della pubblica opinione».
Perché è un'arma dei servizi segreti?
«Perché è potente e comoda. Per Henry Truman i segreti erano quasi sempre pubblicati dai giornali. I Servizi passano il tempo a leggere e parlare, ecco perché è usata. È la più veloce per avere informazioni a basso costo e rischio. In inglese si chiama Osint (Open sources intelligence) ma la scuola italiana è più avanti perché applica una metodologia speciale e usa formule particolari per rilevare la pubblica opinione».
Quale margine di precisione può avere?
«La precisione sta nel capire la tendenza di un movimento sul nascere o sui nuovi bisogni della gente. Indica la direzione più probabile».
Chi se ne è servito per la prima volta in Italia?
«Un cultore fu il generale di Corpo d'armata Adriano Magi-Braschi. Se ne serviva per lavoro, per capire gli sviluppi potenziali dell'opinione pubblica. Lavorava al Sifar del generale De Lorenzo e questo spiega molto. Credo sia stato il primo ad usarla nel dopoguerra. Poi è calato un velo di silenzio che ha avvolto tutto e tutti».
Un clamoroso errore?
«Dal punto di vista scientifico, l'ha commesso un demodoxalogo quando, nella foga di esplicitare una formula che evidenziasse la stretta correlazione tra territorio, popolazione, risorse naturali ed umane, si perse nel ragionamento geometrico nell'accostarla al teorema di Euclide. Paragone assolutamente fuori luogo, infondato e privo di argomentazioni».
Un successo.
«Quello nelle politiche del 1968 con la rielezione del deputato liberale Massimo Alesi che aumentò i consensi elettorali, rispetto alla precedente elezione avvenuta con i resti, mentre il partito in tutta Italia perse voti e parlamentari. Dal punto di vista scientifico si registrano continue conferme alle linee di tendenza rilevate col metodo inde . A riprova che non siamo di fronte a una teoria campata per aria».
In sostanza, la demodoxalogia controlla le pulsioni dell'uomo-massa.
«Le pulsioni dell'uomo-massa non hanno scampo! Ecco perché solo a poche persone di fiducia e comprovata onestà intellettuale viene insegnata completamente. Avere le chiavi di accesso al controllo delle masse è una questione seria e delicata. La demodoxalogia evidenzia i bisogni e li indirizza, ma può anche contrastare campagne stampa avversarie. Una persona smaliziata potrebbe davvero creare danni seri».
Sembra una definizione di setta.
«Ma non lo siamo neppure lontanamente. Nessun esoterismo, nessun test d'accoglienza ma solo lunghe chiacchierate per conoscere a fondo il potenziale studente».
Può avere una funzione da Grande Fratello.
«Grande Fratello? Non sarà quello della Marcuzzi, vero? Guardi, attualmente ci sono 300 società nel mondo che controllano l'informazione e quattro agenzie in particolare lanciano l'80 per cento delle notizie che arrivano ai giornali. Credo ci sia una famiglia di grandi fratelli . Per non farsi condizionare, il lettore deve solo porsi sempre due semplici domande: perché succede questo ora? Chi ci guadagna? Il ragionamento critico poi camminerà con le sue gambe».
Può servire per combattere una guerra sporca?
«Sì. Le operazioni militari vengono preparate mediaticamente sia per giustificare i costi con l'opinione pubblica interna, sia all'estero per plasmare la gente comune sulla bontà della causa. Questi complicati meccanismi sono impostati prima, supportati durante e mantenuti dopo. Inoltre, la guerra è disinformazione e vince chi depista o intossica di più l'avversario».
Quali sono i vantaggi militari della demodoxalogia?
«Ha lo strategico vantaggio che un uomo solo può controllare molti dati. Nei Servizi le attività sono compartimentate per tipologia: spionaggio da fonti umane, fonti aperte, elettronico, eccetera. La demodoxalogia ne racchiude diverse: è questa la vera forza della scuola di pensiero italiana».
Vantaggi civili e politici per chi governa?
«Capire i veri bisogni e le aspirazioni del popolo. Chi governa è spesso circondato dagli adulatori che per tornaconto deformano la realtà. Ascoltarli è un suicidio. La demodoxalogia scatta la radiografia quanto più esatta possibile della situazione consentendo di governare bene col conforto di informazioni corrette e genuine».
Qual è la differenza rispetto a un sondaggio basato su campionatura?
«In un sondaggio la campionatura, per quanto affinata per numero di campioni e stratificazione, non coglie i trend che affiorano da determinate categorie. Col metodo inde si rilevano i picchi statistici e le tendenze in atto: quelle che diverranno vera e propria opinione di quel pubblico in esame. È un metodo veloce e di basso costo in quanto non interpella campioni estratti da un universo generico ma quello che in demodoxalogia definiamo come leader (cioè portatore e creatore dell'opinione espressa da un singolo agglomerato umano definito pubblico secondo particolari nostri canoni)».
C'è stato un battesimo di fuoco?
«Facevo l'addetto stampa per un ente e volevo migliorare la mia formazione professionale. Per pura curiosità ho messo il naso in un convegno dove si parlava dell'opinione pubblica, della sua capacità - più o meno consapevole - di inviare messaggi e farsi indirizzare. In questo modo ho scoperto la demodoxalogia. Sulle prime ero un po' scettico ma alla fine ho dovuto arrendermi all'evidenza. Per un addetto stampa è importante capire bene la gente comune e io cercavo esattamente questo. Credo che l'opinione pubblica stia all'addetto stampa come l'ossigeno sta all'uomo. L'addetto stampa non deve scrivere molto e bene, ma scrivere poco e penetrare a fondo l'area popolare a cui intende rivolgersi. In sostanza deve sempre avere presente a quale pubblico si sta rivolgendo. Non solo: deve conoscerlo a fondo, studiarne l'orientamento e le possibili reazioni».
Di demodoxalogia non si parla più.
«Per scelta. Vede, essendo una scienza scomoda, fascista e anche golpista (Magi-Braschi fu implicato nel golpe Solo) i miei predecessori decisero di tenere un profilo basso. Il difficile apprendimento e il lungo apprendistato fanno il resto. Ultimamente sta risorgendo perché i 24 studiosi della Sidd (una società che si occupa della divulgazione della materia) stanno lavorando bene. Oggi c'è un interesse nuovo, tanto che il professor Arduino Paniccia ha bruciato tutti sul tempo con una lezione di demodoxalogia al corso di Studi strategici ed Economia internazionale all'Università di Trieste. È stata la prima lezione in un ateneo italiano dopo un periodo di assenza di quasi 25 anni».
Al di fuori della rete di intelligence, dove può essere utilizzata?
«Giornalismo, uffici stampa e pubbliche relazioni. Ecco un esempio: il piccolo industriale non può permettersi una struttura complessa di comunicazione e stampa e proprio per questo si rivolge a società specifiche. Con la demodoxalogia avrebbe in una botta sola il valore aggiunto: mansioni standard più analisi della pubblica opinione e del mercato. Insomma, potrebbe dotarsi di una sola persona che svolga contemporaneamente ufficio stampa, comunicazione e intelligence economica. Questa ultima inoltre assolutamente legale perché le informazioni verrebbero estratte da fonti aperte, cioè giornali, radio, internet e televisione. Credo che nessuno vada in galera per aver letto i giornali, no?»
pisano@unionesarda.it

venerdì 20 gennaio 2012

SOTTO IL CIELO DI CUBA


E’ una di quelle notizie che in Italia passano inosservate, del resto non tratta di culi, tette, cronaca, "processi" televisivi  o calcio ma la notizia meriterebbe maggiori attenzioni perché potrebbe segnare il nostro ancora confuso prossimo futuro, che ci piaccia o meno.
Ormai da almeno due anni è in corso un’intensa attività diplomatica tra Chavez, Castro e Ahmadinejad che è ormai
di fatto una solida alleanza a tutto campo, come dimostrato dall’immediato inserimento del neoletto presidente boliviano Morales nei progetti di questa trimurti antioccidentale che impensierisce gli Stati Uniti ed in genere l’Occidente.  


Per ora è certo che l’Iran ha trasferito a Cuba specialisti, strumenti e tecnologie che secondo fonti ufficiali americane sono già in esercizio per incunearsi nel complesso sistema informatico americano e che tra Iran, Venezuela e Cuba è in corso un intenso scambio di "osservatori" e tecnologie militari.  Il progetto comune è quello di allargare la base antiamericana in America Latina rafforzando il longevo regime di Fidel Castro che è diventato un vettore ed una base per  la politica estera iraniana verso gli USA.
La storia di questa piccola isola sembra uscita da un fantasioso romanzo di spionaggio. Quando c’era Batista Cuba aveva una certa economia agricola e manifatturiera ma la sua ricchezza perveniva dal fatto che era il territorio operativo della malavita americana che l’aveva trasformata in una nazione-bordello per soddisfare le brame trasgressive della middle class americana.
Castro è riuscito a far sopravvivere Cuba, totalmente priva di industrie,  facendola entrare negli interessi sovietici, ospitando basi di intelligence e fornendo le sue truppe mercenarie nelle varie guerre di “liberazione” africane, combattute dai cubani per conto dell’URSS.
Prima ancora che l’impero sovietico evaporasse insieme ai sostegni economici destinati a Cuba Castro era già riuscito a trasformare l’isola nel bordello caraibico della borghesia impiegatizia e della classe operaia europea e canadese.
Adesso dopo un lungo sodalizio in affari con Chavez, grazie al quale è diventato uno dei 500 uomini più ricchi del pianeta, Castro sta facendosi sempre più coinvolgere dai soldi e dalle mire antioccidentali di Ahmadinejad.
Ma la durata del regime castrista a Cuba ha anche altre motivazioni, come ci espone il nostro nuovo collaboratore, analista ed esperto di problemi riguardanti le attività di intelligence che per ovvi e comprensibili motivi firmerà i suoi post con lo pseudonimo di Frank Laguna. Una di queste motivazioni è la Direcciòn de Intelligencia, i servizi segreti cubani, fondata nel 1961 e coeva con il regime cubano. Sin dalla sua nascita la DI ha avuto solidi legami con il KGB sovietico che aveva immediatamente aperto a Cuba una importante sezione che ha sostenuto con larghi mezzi tutte le attività fuori area in cui il regime di Castro ha operato per suo conto, dal Nicaragua all'Angola, passando per il Cile e Grenada. Adesso la DI "sa fare da sola e bene", o meglio, grazie agli aiuti economici e tecnologici di Chavez e di Ahmadinejad ha ulteriormente affinato e potenziato la sua struttura operativa e la sede di addestramento principale che è ancora situata a Campo Mantanzas, fuori l'Avana. Venezuela e Iran ci mettono i soldi ma sicuramente stanno imparando dai cubani.

CUBA: la Dirección de Inteligencia di Frank Laguna
 
 
Sono migliori i servizi segreti cubani, americani o israeliani?
Non ci sono dubbi: i cubani battono tutti e soprattutto sarebbero da studiare come modello.
La Dirección de Inteligencia (DI) non lascia scampo. Se si guarda al solo fatto che i fondi stanziati sono sicuramente molto diversi fra i tre paesi in questione, si evince chiaramente che Cuba è il fanalino di coda.
La storia degli aiuti russi non regge più da anni ormai, ma è altrettanto vero che è da un bel po' che resistono.
Il miglior servizio segreto è quello che garantisce la stabilità del Paese e lo protegge dagli attacchi esterni: Cuba, a suo modo, è stabile e protetta da molti decenni.
Oggi l'isola è allo stremo su tutto. Ai cubani manca anche l'aria che respirano, eppure non ci sono ancora state sommosse di rilevante importanza. E nemmeno la presenza dei servizi segreti deviati che vadano a fomentare correnti interne d'opinione pubblica contro Castro. Che cosa significa tutto questo?  Che i servizi cubani funzionano benissimo pur avendo zero soldi: sono poverissimi a confronto con la Cia e il Mossad. È evidente allora che a Cuba dispongono di un modello che alla lunga e nella estrema povertà si è raffinato e perfezionato oltre il limite dell'immaginabile. Potremmo definirli dei “servizi asimmetrici”.
Le tecniche di controllo sono più o meno le solite che usano quasi tutti i servizi, inoltre hanno un'esasperata predisposizione all'infiltrazione degli agenti tra il popolo. I portieri d'albergo, baristi, impiegati, operai, ma anche le attività legate alla prostituzione formalmente vietata ma di fatto presente e molto attiva. Sono tutte professioni che portano a contatto gli agenti con una moltitudine di persone anche in situazioni molto personali e come ben si sa è proprio dove ci sono le persone che girano le chiacchiere e i commenti. Dove c'è un'alta concentrazione di scambi di vario genere sicuramente c'è anche una alta concentrazione di agenti. Sono i metodi mutuati dagli ambienti di intelligence ex sovietici. Ma non è solo questo. Il DI è diviso in direzioni e reparti molto snelli, interconnessi e super efficienti. L'M-1 ad esempio si occupa solo ed esclusivamente degli Stati Uniti la cui sezione “I” si occupa di istituzioni organizzative. L'M-1 ha circa 100 dipendenti e 10 milioni di budget e i suoi uffici principali si trovano al 6°, 7° e 8° piano del palazzo al Vedado a l'Avana. Gli ufficiali che lavorano in America hanno tutto pagato (affitto, auto, attività varie) ma ricevono come paga solo 350 dollari mese, nulla in occidente ma una ricchezza per  Cuba.
Il servizio cubano non ha di fatto soldi per comperare continuamente le informazioni e quindi è costretto ad agire con una penetrazione profonda nel tessuto della società. Negli Usa, ad esempio, cerca di influenzare giovani e promettenti studenti universitari, i quali poi da grandi occuperanno posizioni di rilievo in aziende ed organi dello Stato e delle Forze Armate, ma ormai avranno acquisito una visione più morbida del mostro cubano. La sezione che si occupa di questa attività è l'M-15. Ma se gli studenti vanno in viaggio a Cuba, allora sarà la sezione M-8 ad occuparsene. A fine viaggio ogni studente avrà a sua insaputa il suo bel dossier e quelli più interessanti verranno segnalati all'agente in America, il quale provvederà a contattarli. Castro ha praticamente dato l'ordine di cercare informazioni anche tra le università americane e cercare di trasmettere l'idea che Cuba non è assolutamente una minaccia per gli Usa e di cercare in qualche maniera di far finire l'embargo
Pensiamo davvero che la Cia senza soldi sarebbe in grado di ottenere simili risultati con un servizio costante e duraturo nel tempo? E il Mossad? La risposta è scontata: no!
La convinzione è che al di là delle strutture e delle divisioni che i relativi compiti impongono, ci sia anche altro. La parte più importante, dunque.
Bisogna vedere la questione sotto un'altra ottica: è lo spirito che anima la Dirección che la rende davvero incredibile e anche il saper rilevare gli umori della pubblica opinione e del popolo ed intervenire senza filtri operati dalla magistratura o dal governo. Quest'ultima parte è di fondamentale importanza. La sezione M-9, al 6° piano del palazzo di Avedana a l'Avana è quella che si occupa della propaganda a sostegno del Lider Maximo.
La Dirección va studiata a fondo perché potrebbe offrire delle scoperte interessanti. Il blocco di partenza per l'indagine è che la propaganda di Castro sarebbe buona fino ad un certo punto se non venisse adeguatamente supportata da una intelligence di primissimo ordine, anche se povera; ma la storia insegna che  i soldi nelle attività di “intellighenzia” sono solo uno degli strumenti.
50 anni di potere di Castro sono la conferma che la Dirección è straordinariamente efficiente rispetto alle disponibilità economiche ed è certo che vista la nuova veste che cuba sta assumendo nella politica internazionale il prossimo futuro ci riserverà ancora notevoli sorprese.
Frank Laguna

giovedì 19 gennaio 2012

AFGHANISTAN: SEQUESTRO DI ESPLOSIVO ED ARRESTI


 PRESS RELEASE 2012–01–CA- 766-306

 
HERAT, 18 Gennaio 2012. Si è conclusa nella provincia di Herat, settore centrale dell’area di responsabilità del Comando Regionale Ovest (RC-West), a guida Brigata “Sassari”, l’operazione congiunta denominata “Upper Hand” con l’arresto di 23 sospetti “insurgents” ed il sequestro di un quantitativo significativo di esplosivo, pronto all’uso per il confezionamento di ordigni improvvisati (IED – Improvised Explosive Devices).
L’operazione condotta dalla Task Force Center, su base 66° Reggimento Aeromobile “Trieste”, dalle forze di sicurezza afgane (Afghan National Security Forces- ANFS) e da assetti di altre forze ISAF, per un totale di circa 900 uomini, ha avuto come obiettivo quello di contrastare l’espansione del terrorismo nei territori a Nord della città di Herat, fino ai confini con il Turkmenistan, e favorire la distribuzione di aiuti umanitari a sostegno della popolazione civile.
 L’operazione “Upper Hand” si inquadra nelle attività operative che il Comando di RC-West pianifica e coordina con le forze di sicurezza afghane (ANSF), organizzazione che in questa fase della transizione ha permesso il passaggio della responsabilità della sicurezza alle forze afghane in 13 dei 16 distretti in cui si suddivide la provincia di Herat,

mercoledì 18 gennaio 2012

TRA ONORE E CONCORDIA

 
 Il Comandante dell'Andrea Doria Piero Calamai

E' agli arresti domiciliari a casa sua, a Meta di Sorrento Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia naufragata venerdì notte a Isola del Giglio. Nel naufragio hanno perso la vita 11 persone e ci sono ancora 28 dispersi.
E’ molto probabile che a breve  potremmo vedere il comandante Francesco Schettino svolazzare da un talk show ad un altro come un divo, esponente di una morale populista e televisiva che ha dimenticato da un pezzo il senso dell'Onore, considerato il retaggio di un mondo ormai passato.


Il comandante Francesco Schettino,  che dopo aver condotta alla rovina la sua nave scappa nella notte abbandonandola con a bordo ancora centinaia di persone e farfuglia scuse meschine al comandante del Porto di Livorno che cerca di ricondurlo ai suoi doveri, mi riporta alla mente un
analogo avvenimento del 1956.

Il 26 luglio di quell'anno, la nave passeggeri Andrea Doria con circa 1800 ospiti a bordo oltre all'equipaggio, fu speronata dalla nave svedese Stockholm al largo del faro galleggiante di Nantucket a circa 10 ore di navigazione da New York.  Nello speronamento morirono 46 passeggeri, quelli che erano ospitati nelle cabine della fiancata investita dalla prua della nave Stockolm. Tutti gli altri si salvarono come riportato da queste note tratte da un libro sull’argomento:
“Il numero limitato di vittime ed il completo successo delle operazioni di soccorso è merito del comportamento eroico dell'equipaggio dell'Andrea Doria e soprattutto del comandante Piero Calamai e delle rapide e difficili decisioni da lui prese in momenti tanto concitati. Tali capacità furono dovute alla sua grande esperienza come dimostrato dalle due Croci di Guerra al valore da lui ottenute nelle due Guerre Mondiali e dal senso del dovere e dell'onore. Dopo il salvataggio di tutti i passeggeri il comandante Calamai restò a bordo dell'Andrea Doria rifiutandosi di mettersi in salvo; fu costretto a farlo dai propri ufficiali tornati indietro appositamente. Egli dichiarò  ai propri sottoposti, prima di farsi convincere ad abbandonare per ultimo la nave, che era suo dovere rimanere a bordo di guardia al transatlantico: un'antica legge marinara, infatti, autorizza chiunque prenda possesso di un'imbarcazione abbandonata di farne cosa propria. Eroicamente, il comandante Calamai intendeva scongiurare tale possibilità.”

martedì 17 gennaio 2012

PIRATERIA: NAVE GRECALE SVENTA ATTACCO ALLA MOTONAVE VALDARNO E FERMA I PRESUNTI PIRATI




16 gennaio, nell’Oceano Indiano, a 250 miglia circa da SALALAH (OMAN), la fregata Grecale della Marina Militare, inserita nel dispositivo NATO SNMG2 nel contesto dell’operazione antipirateria Ocean Shield, è intervenuta a protezione della motonave italiana Valdarno che ha subito un tentativo di abbordaggio al largo delle coste omanite.

I pirati si sono avvicinati con un barchino, partito da un’imbarcazione tipo Dhow che agiva da nave madre, e hanno esploso alcuni  colpi di arma da fuoco. L’equipaggio si è rifugiato nella cittadella e sono state messe in atto le misure di auto protezione che hanno consentito di evitare il sequestro.

Il Grecale ha immediatamente inviato sul posto il suo elicottero e quando stamani ha raggiunto la scena d’azione ha effettuato l’abbordaggio del dhow sul quale sono risultati presenti 10 yemeniti e 11 somali.




E’ in fase di svolgimento il previsto iter di accertamenti e verifiche in coordinamento con l’Autorità Giudiziaria competente.
Il mercantile Valdarno sta proseguendo la navigazione in sicurezza verso il porto  di Bashayer (Sudan).

lunedì 16 gennaio 2012

UN CADUTO DA RICORDARE



Questo racconto è della nostra nuova giovane collaboratrice Rania Astore che raccoglie testimonianze tra tutti coloro che hanno scelto il mestiere delle armi, legando nei suoi racconti storie diverse e reali  con uno stile coinvolgente e pieno di partecipazione. 
Nel testo sono stati eliminati tutti i riferimenti personali e pertanto i nomi citati sono frutto di fantasia ed ogni loro riferimento a persone e fatti reali è da considerarsi puramente casuale.


Conservo una fotografia scattata anni fa ed oggi consumata dal tempo e dai tanti trasferimenti in agende e libri per portarla sempre con me. In essa ciò che ancora risalta sono i colori della bandiera italiana che avvolgeva la bara portata a spalle dai commilitoni. Subito dopo la bara ecco la figura di una donna, schiena dritta, un istante catturato nel dolore, un bambino al suo fianco le stringe la mano con lo sguardo fisso sul tricolore, perso chissà in quali paure.

Un silenzio ed una dignità fuori dal tempo pervadono questa foto, fissando quell'attimo, come se la Patria fosse lì e la vita stessa si vergognasse di esistere.

"Onori al Caporale Maggiore Floris, caduto nell'adempimento del proprio dovere …”, parole che ancora bruciano per il cuore di un soldato.
Pensate ai sentimenti che vi rapiscono ogni volta che vi trovate davanti ad una bara: timore, quando si è piccoli, soggezione per una vita finita, da grandi.
Eppure davanti ad una bara avvolta nella bandiera avviene qualcosa di più, il cuore si ferma nell'attimo in cui le lacrime iniziano a scavare le guance. Nulla ha più importanza, è come entrare in uno scafandro da palombaro dove sei isolato dal mondo e non sei più tu, non sei più qui, sei lì, dentro la bara insieme al tuo compagno caduto, ad immaginare nella tristezza della morte un sorriso per tutti noi che siamo la sua patria, ma vivi. Non ci riesci, non ci riesci mai, dopo che vedi decine di sue foto scorrere il video ti senti un verme, il suo assassino, stai male e piangi, vorresti urlare ma riesci a farlo solo in silenzio.

Allora inizi a pensare che in fondo sapeva a cosa andava incontro, ma non pensi mai all'altra metà della medaglia, non pensi che sia morto anche per te, per questo Paese e che se non ci fosse gente come lui tu non saresti libero neanche di piangere davanti ad un tricolore. Per questo ti senti un verme, perché sai che loro sono lontani da casa spesso per mesi, in situazioni difficili, eppure ci pensi solo quando uno di loro viene a mancare.
Morire da soldato all'epoca della prima e della seconda guerra mondiale era più che una possibilità,  qualcuno aveva infatti coniato il termine “carne da cannone” perché la vita dei soldati  sembrava non contasse nulla, se non per coloro che aspettavano a casa e proprio per questo erano vicini ai soldati"
Oggi i conflitti sono lontani, chiamati con termini difficili da capire e poco interessanti per i più, come “asimmetrici” o “ operazioni di peace Keeping”, noi ci ricordiamo di essere italiani solo quando scaricano da un aereo una bara, con ciò che contiene e che chiamiamo eroe, forse per lavarci la coscienza, sporca per un’apatia perdurante verso la vita dei soldati all’estero.
Quel maledetto giorno, il Caporale era di pattuglia, coperto da tutte le precauzioni possibili ma non bastarono. Cadde sotto lo scoppio di un razzo RPG, con lui venne ferito il suo amico il Sergente Canu che perse il braccio sinistro. Fu un attimo, prima che sentissero lo scoppio il tragico destino si era compiuto, Canu si rese conto subito di ciò che era successo e mentre si trovava davanti ad uno spettacolo profondamente meschino, con il corpo dilaniato del suo collega sbalzato a metri di distanza da lui, si rese conto che non aveva più il braccio ed allora si accasciò svenuto sulla sabbia intrisa di sangue.
Il ricordo vive nelle parole di chi ha combattuto insieme a lui vivendo momenti difficili da raccontare.

"C'erano giorni in cui Foris non sembrava uno di noi, giorni nei quali lo vedevi in disparte a scrutare l'orizzonte e se lo chiamavi non ricevevi risposta, era lui ma non era lì con noi. Guardava una foto della moglie con il figlio di pochi mesi, del quale non aveva potuto assistere alla nascita perché già partito per la sua prima missione. Quella foto la portava sempre con se, anche quando il figlio era cresciuto e lui era ripartito per un’altra ennesima missione. Era un uomo vero, uno di quelli che non vogliono essere compatiti, fiero e orgoglioso non si tirava mai indietro davanti a nulla. Floris aveva la stoffa del combattente: poche parole e molti fatti, come la gente delle sue parti.

Quando partiva ed i pensieri lo facevano ritornare in Patria, nella sua casa, sapevamo che ogni nostra parola sarebbe stata inutile. Con il tempo abbiamo imparato a conoscerlo, ad apprezzarne il valore e la serietà. Era spesso taciturno ma quando si stava insieme per giocare a carte o a calcetto per divertirci come ragazzi, perché prima di essere soldati eravamo ancora ragazzi, sorrideva sempre, ti colpiva perché gli occhi avevano una forte luce che risaltava sullo sfondo nero delle pupille. Eravamo ancora ragazzi, ma il deserto, quella dimensione infinita e sconosciuta, ci aveva cambiati. All'inizio sei euforico per la tua missione, passano i primi mesi ed inizi ad odiare quelle distese di dune e rocce, quella gente incomprensibile eppure l'anima del deserto ti conquista, ti fa diventare un uomo che sogna la propria donna ed intanto vede i propri compagni crescere con lui. Nei momenti di svago quando ci mettevano in posa per fare delle foto il sorriso non mancava mai, era spontaneo, mosso dalla voglia di far arrivare serenità ai propri cari, poco importava se dentro provassimo inquietudine e paura, il sorriso per chi si ama è per un soldato la più grande dimostrazione d'amore perché vien dal cuore, nonostante si guardi perennemente negli occhi il rischio, la morte.


Quando sentimmo l’esplosione, quel maledetto giorno, attivammo subito tutte le procedure d'emergenza ma sentivamo che qualcosa di irreparabile era accaduto perché quando scatta l’allarme dopo un’esplosione o uno scambio di colpi non si può mai sapere se l'attacco sia cessato o stia appena iniziando. Quel giorno era stato un assalto rapido ed improvviso. Dopo le prime urla ed i colpi di risposta il dispositivo venne avvolto nel silenzio, si sentivano solo lamenti e secchi ordini che venivano impartiti ai posti di combattimento e per prestare assistenza ai colpiti.

Davanti alla morte di un tuo compagno, che poco prima rideva con te ti senti svuotato. Diventi come carne e ossa che servono solo a tenere in piedi la mimetica, tu sotto quella stoffa non ci sei più, senti solo un dolore acuto che ti trafigge il cuore come se dovessi morire a tua volta e piangi senza che le lacrime cadano dagli occhi perché prima di essere un uomo, sei un soldato e da soldato devi essere dignitoso anche davanti alla morte, gli isterismi per noi non esistono. La pietà diventa così un sentimento notturno riservato alla sfera più intima, nascosto dall’affetto che si provava per il compagno caduto.

Era un uomo vero Floris, lo era ogni giorno, lo era da sempre,  accompagnare il suo ultimo viaggio di ritorno verso la Patria fu come vivere una seconda volta al suo fianco. Mentre eravamo seduti a guardare la bara avvolta dal tricolore, sospesi a migliaia di metri nel cielo, io che non sono proprio un cristiano praticante iniziai a recitare il Padre Nostro ad alta voce, seguito poi da tutti i compagni.
Davanti alla morte in simili situazioni, solo Dio ti sembra un porto sicuro dal dolore ed allora lo cerchi e più pensi a Dio più vedi il volto del tuo collega caduto. Durante il viaggio mi ricordavo gli scherzi sulla barba ormai lunga di entrambi, che usavamo per far finta di essere come loro, quando le sere ci raccontavamo episodi vissuti, quando si parlava delle proprie famiglie, quando uscivamo in ricognizione e tra la tensione generale lui aveva la capacità di farci sentire più tranquilli, incrociare il suo sguardo era tranquillizzante. Ci volevamo bene, è stato un grande amico, è stato un soldato con gli scarponi ben piantati per terra eppure capace di provare sentimenti quasi da bambino. Amava le armi, amava la nostra vita, amava il coraggio delle donne che decidevano di diventare soldato, amava i bambini: amava. Sono sicuro, che continuasse ad amare la vita da soldato anche in quei vuoti, in quelle assenze che lo colpivano nei momenti di tranquillità.

Ho incontrato la moglie, ecco lei si è comportata con forza e dignità. Vidi che aveva pianto per giorni, dagli occhi stanchi, arrossati e dalle occhiaie profonde, eppure davanti alla bara del marito si limitò ad abbracciarla, baciarla senza versare più una lacrima, composta prese il suo posto secondo il cerimoniale militare e con il figlio al fianco accompagnarono il loro soldato lungo il suo ultimo cammino. Affascinante e giovanissima si pensava che non sarebbe rimasta senza un altro uomo ed invece a distanza di anni è ancora sola. Ha cresciuto un figlio oggi maggiorenne che ha appena fatto richiesta per entrare nell'Esercito. Una donna straordinaria, forte che ha capito e sostenuto la scelta del figlio. Ho iniziato a capire perché il Caporale Maggiore Paolo Floris si perdesse pensando a lei, erano una cosa sola e lo sono tutt'oggi, entrambi forti, semplici, sorridenti, orgogliosi della propria vita.

È dunque così che Paolo oggi continua a vivere, non da eroe come lo definisce chi non lo conosceva ma da amico, amante e padre, da uomo e come tale ci ha insegnato che possiamo essere migliori servendo questo Paese con dignità e rispetto, ricordandoci di tutti i nostri compagni sempre, ogni giorno, e non solo quando uno di noi cade.”
Rania Astore


venerdì 13 gennaio 2012

L'APPORTO DELLE FORZE ARMATE PER LA RICERCA SCIENTIFICA IN ANTARTIDE

 Nella fotografia dell'Ufficio Stampa dello Stato Maggiore Difesa  il Capo di 1^Cl. Davide Riga del COMSUBIN e il Capo di 1^ Cl. Giuseppe Anagni del Comando Forze Dragaggio, in immersione sotto il pack marino nella Baia Terra Nova

Ricerca scientifica in Antartide: il ruolo delle Forze Armate

Nella base “Mario Zucchelli” i militari di Esercito, Marina e Aeronautica collaborano alla XXVII spedizione italiana in Antartide

BAIA TERRA NOVA - ANTARTIDE 13 gennaio 2012

Si immergono sotto i ghiacci oppure scalano pareti rocciose alla ricerca di campioni geologici o di pesci antartici ancora sconosciuti.

Non è certo un lavoro comune quello che svolgono quotidianamente gli Ufficiali e Sottufficiali di Esercito, Marina e Aeronautica che partecipano alla XXVII spedizione italiana in Antartide. Una spedizione che ha preso il via lo scorso 4 novembre con la cerimonia dell’alzabandiera nella base italiana “Mario Zucchelli”, a Baia Terra Nova.

Nella base, che è stata aperta nel 1984 ed è l’avamposto più avanzato della ricerca scientifica e tecnologica che si svolge in Antartide, lavora un piccolo contingente composto da 20 tra Ufficiali e Sottufficiali delle tre Forze Armate che collaborano con i ricercatori nell’ambito dei vari progetti inerenti le scienze della vita, della terra, dell’atmosfera e dello spazio.

Esperti Sottufficiali degli Alpini, ad esempio, svolgono quotidianamente i compiti di guida alpina, accompagnando i ricercatori nella ricerca di campioni geologici.

Alla Marina sono affidate invece le operazioni che si svolgono in acqua e che vanno dalle immersioni sotto i ghiacci per la raccolta di campioni biologici alla guida di piccoli natanti per accompagnare i biologi marini alla ricerca di specie di pesci antartici ancora da catalogare.

All’Aeronautica, tra gli altri, è assegnato il delicato compito di redigere le previsioni meteorologiche, senza le quali non sarebbe possibile eseguire attività di volo.

Un team di esperti del quale fanno parte, tra gli altri, piloti, controllori, medici, meccanici e addetti alla comunicazione.

L’apporto delle Forze Armate a questo progetto è, insomma, tutt’altro che secondario, come confermato dall’apprezzamento espresso dal Commissario Straordinario dell’ENEA Giovanni Lelli durante la sua recente visita alla base “Mario Zucchelli”.

L'ITALIA FA VOLARE L'AFGHANISTAN


giovedì 12 gennaio 2012

AFGHANISTAN: OPERAZIONE “THE DISCOVERY OF THE NORTH 2”

PRESS RELEASE: 2012–01–CA–764-304




HERAT, 12 Gennaio 2012. Si è conclusa nel settore Sud dell’area di responsabilità del Comando Regionale Ovest (RC-West), a guida Brigata “Sassari”, l’operazione congiunta denominata “The discovery of the north 2” con l’arresto di sei sospetti “insurgents” ed il sequestro di un’importante quantitativo di esplosivo, utile per il confezionamento di ordigni improvvisati (IED).

L’operazione condotta dalla Task Force South, su base 152° Reggimento “Sassari”, dalle forze di sicurezza afgane (Afghan National Security Forces- ANFS) e da assetti genio di altre forze ISAF, ha avuto come obiettivo quello di contrastare l’espansione del terrorismo in due distretti distanti circa 50 Km dalla città di Farah.

L’operazione “The discovery of the north 2” si inquadra nelle attività operative che il Comando di RC-West pianifica e coordina per contrastare le attività terroristiche degli “insurgents” favorendo la libertà di movimento e la sicurezza in tutta l’area di responsabilità.