martedì 3 gennaio 2012

CONVOY

Afghanistan Occidentale-Agosto 2011


Un paracadutista della Folgore osserva il sorvolo dei due A-10 di scorta, attivato dal JTAC. 
Ph Giusepe Lami/ANSA

Sono le 4,30 di mattina e la mensa di Bakwa è già aperta. Siamo insieme ai ragazzi della XXI Compagnia Giaguari dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti di Legnago che mangiano velocemente, in silenzio. Prima di uscire si mettono in tasca qualche confezione di biscotti. A bordo dei mezzi hanno già sistemato scorte di bottigliette d’acqua estratte dai congelatori, raffredderanno anche le altre già stipate nei contenitori termici. È ancora buio e la temperatura è già ben oltre i 30°. La sicurezza del convoglio è affidata alla capacità di questi giovani uomini, ma ci sono anche due ragazze: una minex che ho già incontrato in Libano ed un’infermiera, alla guida del Lince ambulanza, che ha già affrontato la difficile e dolorosa attività di recupero di colleghi caduti in azione tra cui il c.m. Roberto Marchini della XXI Compagnia, colpito a morte  lo scorso 12 luglio. Come tutte le altre ragazze paracadutiste presenti qui alla FOB Lavaredo sono graziose quanto efficienti e la mimetica da' loro un fascino inaspettato. Nonostante la  pianificazione quasi maniacale siamo anche noi coscienti che andiamo incontro a pericoli e insidie che, se necessario, saranno superate combattendo; ma come vedremo non siamo soli. Mi infilo l’elmetto di kevlar e, sopra i miei 50 euro meglio spesi degli ultimi mesi ed identificabili con la maglietta Drifire di Tacticatl Euipment, indosso il nuovo giubbetto balistico dell’EI, ampiamente protettivo, regolabile e dotato di un sistema di sgancio rapido, ma veramente molto pesante. I paracadutisti, compreso il comandante, hanno inoltre il 70/90 con le giberne piene di munizioni, la pistola, granate, la radio e altre dotazioni. Con la mia piccola e  leggera telecamera, letteralmente coccolato dall’equipaggio del mio mezzo, non ho il coraggio di lamentarmi per il peso, la scomodità della cintura a cinque punti ed il caldo, che lungo il nero asfalto della Ring Road toccherà  punte  vicino ai 60 gradi. Alle 6 in punto, come previsto, la colonna inizia il movimento seguendo nel deserto le tracce aperte dal Buffalo e dai due Maxpro, poi, dietro i Lince, un corteo di vecchi trucks privati che sembrano usciti fuori dal film “Mad Max oltre la sfera del tuono”! A chiudere il convoglio altri Lince ed il camion officina e recupero chiamato Bullone. Io sono a bordo del Lince del comandante la XXI, il capitano Emanuele Malberti, 30 anni, di Milano, papà di due bambine, simpatico e pieno di carisma, un vero leader. Giuseppe è davanti a noi a bordo di uno dei due Maxpro dei minex con cui condividerà coraggiosamente l’attività di clearing fotografando spalla a spalla il loro difficile e rischioso lavoro. Il movimento inizia nel deserto, secondo un percorso che non ripercorre tracce precedenti. Gli afghani coltivano e poi abbandonano piccoli appezzamenti di terreno di circa 30 mq, sono come delle vasche rettangolari protette da un cordolo perimetrale di fango secco, duro come il cemento ed alto una ventina di centimetri. Questi  “cosi” che non so proprio come chiamare si susseguono in ogni direzione  per chilometri senza soluzione di continuità. Un martirio per le sospensioni dei Lince e soprattutto per noi, con l’uomo in ralla che viene sbattuto da una parte all’altra della sua botola come il battente di una campana. Una prova devastante per i vetusti trucks dei trasportatori, guidati da una coreografica fauna di autisti. Dopo pochi chilometri il rallista ci avverte che un filo attraversa la nostra pista virtuale: è un falso allarme ma l’episodio sta a dimostrare che qui distrarsi può voler dire morire. Un convoglio nel deserto afghano è una partita estrema tra chi vuole portare uomini e mezzi a destinazione e un’aberrante volontà assassina di impedirlo. 


Un paracadutista della Folgore protegge con il Panzerfaust un momento di sosta del convoglio per neutralizzare un'eventuale auto suicida.
. Ph Giusepe Lami/ANSA
Dobbiamo raggiungere il bivio con la Ring Road a nord di Delaram evitando la Route 517 che passa davanti alla FOB. È una strada non asfaltata, piena di carvert ed impossibile da controllare. È una strada deserta, i bazar e le case che la costeggiano sono state abbandonate dietro le intimidazioni dei talebani: la  517 viene chiamata la strada della morte. Sulla mia sinistra, oltre le gambe dell’uomo in ralla, c’è il navigatore anche lui strettamente legato al mezzo dalla cintura a cinque punti, davanti a se ha un PC heavy duty della Panasonic, collegato ad un sistema satellitare, qui niente è affidato al caso: la tecnologia, l’addestramento e le procedure sono gli unici veri strumenti di protezione dagli IED. Su un magazine USA abbiamo letto che ogni giorno nelle quattro aree di suddivisione dell’Afghanistan ne vengono scoperti e disattivati una quarantina! Grazie al sofisticato sistema di navigazione satellitare di cui è dotato il Lince sappiamo sempre dove siamo ma soprattutto sappiamo dove sono gli altri mezzi dell’RCP americano e del kandar, il battaglione dell’esercito afghano che dobbiamo scortare sino a Bala Baluk e con cui abbiamo appuntamento lungo la Ring Road. Noi poi proseguiremo con la scorta ai trucks sino a Farah. Quando finalmente raggiungiamo la Ring Road ci inseriamo nel convoglio che comprende circa 2000 uomini a bordo di oltre 200 mezzi.
La scorta e la difesa di questo poderoso dispositivo è affidata alla XXI Compagnia Giaguari dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti. Un onere ancor prima che un onore ed un’occasione formidabile per i tango e gli insurgents che ritengono la strada un dominio personale, percorribile dai mezzi civili senza scorta solo dietro il pagamento del pizzo, pena la distruzione dei mezzi e la morte dei conducenti.

 

 Mezzi del RCP  (Route Cleaning Packaging) americano. Ph Giusepe Lami/ANSA

La congiunzione con la Ring Road non è una mèta, è la linea di partenza per il nostro viaggio di circa duecento chilometri in colonna attraverso una delle zone più pericolose dell’Afghanistan. Aspettiamo che la colonna si ricomponga perché in questo primo tratto nel deserto i trucks avanzano con lentezza mentre i genieri iniziano a perlustrare il terreno per trovare una via d’accesso sicura, quindi una volta sull’asfalto della Ring Road l’intero convoglio si mette in moto.

  
Sulla Ring Road l'incontro tra l'RCP  americano e il dispositivo italiano. Ph Giusepe Lami/ANSA 

Davanti a tutti ci sono gli americani dell’RCP (Route Cleaning Packaging) dotato di mezzi speciali in grado di individuare gli IED anche se nascosti in profondità sotto il manto stradale e subito dietro i Maxpro dei minex della XXI Compagnia, che hanno il compito di neutralizzarli e farli brillare. Giuseppe Lami è con loro. Dietro il nucleo dei genieri c’è il Lince del capitano Malberti,  su cui mi trovo io e dietro altri  200 veicoli tra Lince, i pick up dell’ANA (Afghanistan National Army) ed i camion civili che dobbiamo scortare; una colonna lunga oltre 20 chilometri e protetta da un formidabile apparato di sicurezza e controllo. Con noi c’è un team del JTAC (Joint Terminal Air Control)  in forza al 186° Rgt. Paracadutisti, che procede a bordo di un Lince dotato di sofisticatissimi sistemi di comunicazione. E'  comandato dal Maresciallo Massimo Roccisano, un paracadutista di trent’anni con un fisico da gladiatore. Il compito del suo nucleo è quello di richiedere e guidare, in lingua inglese, un intervento di appoggio aereo a difesa della colonna. In caso di attacco con mortai o armi automatiche anche di piccolo calibro è possibile rilevarne la posizione di tiro ed il JTAC provvederà ad inviare le coordinate agli aerei perennemente in volo ad alta quota, dove il consumo di carburante è minore. Infatti all’improvviso appaiono dal nulla due A10, armati dell’ormai famigerato cannone da 30 mm Gatline a 7 canne rotanti in grado di sparare una raffica di 70 colpi in un secondo e mezzo, capace di distruggere con una breve raffica qualunque carro armato o una postazione fortemente protetta. I loro supporti alari sono occupati da vari tipi di bombe a guida attiva. I due A10 ci salutano battendo le ali mentre sorvolano a bassa quota la colonna per la sua lunghezza, sganciando flares per ingannare eventuali missili guidati dal calore dei motori. Ma se gli A10 non fossero disponibili o insufficienti il convoglio può contare anche sulla copertura di un B1 con a bordo 24  bombe attive di grosso calibro, sempre guidate dall’attività del JTAC in forza al 186°. Anche il B1 sorvola per un saluto la colonna con un rombo poderoso e con le ali in posizione di freccia. 



Viste del convoglio, la fotografia qui sopra ritrae gli Humvee del kandar afghano.
Ph Giusepe Lami/ANSA

I tango e gli insurgents intuendo il pericolo non si sono mostrati ma per chilometri lungo il nostro lento procedere incontriamo numerosissime carcasse di veicoli di ogni tipo, distrutti in precedenti agguati e nelle vicinanze delle quali sono evidenti i tumuli di pietre e terra allineati verso la Mecca, sotto cui sono stati sepolti gli sfortunati conducenti civili, pur essendo stati musulmani come i loro assassini.
La temperatura dell’aria raggiunge punte ben oltre i 50 gradi con l’asfalto letteralmente rovente, i sistemi di raffreddamento di molti mezzi vanno in tilt ed alcuni devono essere rimorchiati, così la media del convoglio si abbassa drasticamente. A bordo di quello che considero il “mio” lince stringo amicizia con l’equipaggio, soprattutto con il giovane paracadutista che sta in ralla. Si chiama Carlo de Paoli, il mio compito è passargli le bottigliette d’acqua, se ne bevono numerosissime, soprattutto lui che è perennemente esposto al sole, sempre in piedi, sballottato di qua e di la ad ogni sussulto del mezzo, con gli occhialoni e una kefia avvoltolata suI viso ed i guanti per proteggere le mani dal calore rovente del metallo del Lince e della sua mitragliatrice. Quando grazie a questa mia funzione di “portatore d’acqua” prendiamo un po’ di confidenza mi indica cosa c’è sotto la sua pedana, a fianco al mio seggiolino e mi fa capire che se necessario invece dell’acqua devo passargli quello che c’è dentro quelle scatole di metallo grigioverde con le scritte gialle: sono i nastri della Browing. Capisco che è più che altro un gesto di simpatia per farmi capire che sono stato accettato come membro “effettivo” dell’equipaggio. Questo gesto mi fa accarezzare i ricordi di quando ero comandante di plotone della Folgore presso la XIV Compagnia Pantere, nel 1970, quando saltavo giù dal CM come un grillo mentre ora invece di saltare giù dal Lince ne scendo con molta calma. Perché "ed è subito sera" come Quasimodo descrisse l’inesorabilità della vita che nel suo procedere scorre sempre più veloce.


Attività dei minex prima di inserirsi nella Ring Road
Ph Giusepe Lami/ANSA
 
Dopo più di dodici ore il kandar afghano devia per Bala Baluk e così la colonna diventa più agile e veloce. Arriviamo alla FOB di Farah alle 20, dopo circa 14 ore di viaggio, con il convoglio integro e senza aver dovuto sparare neppure un colpo per aprici la strada. Quando ci riuniamo davanti alle tende che ci hanno assegnato sembriamo dei masnadieri, visibilmente provati dal caldo, dalla polvere, dalla stanchezza e dalla tensione ma i ragazzi della XXI hanno ancora il coraggio e la forza di scherzare e si mettono a fare flessioni cogliendo una sfida del loro capitano. 

Il convoglio, scortato dalla XXI Compagnia dell'8° Rgt.Guastatori Folgore di Legnago, mentre riparte da Farah per rientrare a Bakwa.
Ph Giusepe Lami/ANSA

Dopo una sosta di 24 ore per ricontrollare i mezzi e far riposare i paracadutisti il convoglio riparte alla volta di Bakwa che è ancora notte con i vetusti truck civili carichi di carburante, materiale da costruzione, acqua potabile e derrate alimentari. Ci alziamo anche noi alle 3 di mattina per salutarli e mentre li vediamo sfilare veniamo presi da un’apprensione inaspettata che sia io che Giuseppe ci confideremo la sera, quando ci raggiunge la notizia che la "nostra" colonna è rientrata sana e salva. Veniamo anche a sapere che a Bala Baluk c’è stato un attacco e quattro paracadutisti del 187° sono rimasti feriti. Come consuetudine non sappiamo come sono andati i fatti e se i tango siano riusciti dopo il loro agguato a sganciarsi oppure sono rimasti a terra, neutralizzati,  pronti per essere tumulati con la testa verso la Mecca, come i poveri conducenti civili dei convogli senza scorta, uccisi dalla loro barbara violenza.  (a.t.)

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