domenica 8 gennaio 2012

L'ISTINTO DEL SOLDATO*

 Questa fotografia di Scott Olson/Getty Images che rappresenta l'elmetto del Caporale dei Marines Jonathan Eckert di Oak Lawn, Illinois, appartenente all' India Battery, con la scritta sull'elmetto  dei versi della  canzone "Mommy" dei  Misfits  (Mammina posso uscire questa notte per uccidere?) è una foto di repertorio ed ha con il testo che segue una funzione puramente simbolica.

«In pratica ci avevano teso una trappola. Sapevano già che noi saremmo andati lì e che cosa avremmo fatto e così hanno aspettato, miscelati alla gente del luogo o nascosti nelle case che noi avevamo visto da fuori perché non erano state ancora controllate da nessuno. Ci muovevamo in mezzo a un branco di ragazzini che facevano gli scugnizzi e che riuscivamo ad allontanare con fatica mentre disturbavano l’operazione. Questi tipi hanno il senso della guerra nel sangue, sono nutriti sin da piccoli a base di privazioni e violenze e non hanno paura di nulla ed utilizzano i ragazzini e gli abitanti dei villaggi come scudi. Quando sembrava tutto a posto e ormai la tensione dei primi istanti era calata hanno iniziato a spararci ed i ragazzini sono spariti in un lampo senza più gridare.  Un fuoco da professionisti, brevi raffiche ma continue e soprattutto mirate e sparate da molti punti. Sparavano da dietro e anche da dentro le case dove prima davanti c'erano gli abitanti del villaggio e noi ci siamo trovati tagliati fuori, in una piccola discesa coperti da un basso muro di fango. Appena tiravamo fuori la testa arrivava una scarica di colpi. Il comandante del plotone era incredibilmente calmo mentre accovacciato dietro al muro sbeccato dai colpi degli AK47 parlava per radio, ma era chiaro che stavamo in una brutta posizione. Ci ha ordinato di spostarci sulla sinistra, eravamo troppo ammucchiati ed i blindo ancora lontani ed anche loro sotto tiro. Per raggiungerli avremmo dovuto muoverci allo scoperto, dovevamo prima posizionarci. Insieme al mio fuciliere ho seguito il muro rasentandolo e procedendo piegato. Avevo il cuore e la testa che mi battevano forte ma non avevo paura, parlo di quella che ti congela, mi sembrava di vivere al rallentatore ed i rumori degli spari sembravano ovattati.  Ad un tratto il muro, che non era proprio dritto, è finito e poi c'era un altro muro non in linea e mi sono trovato nello spazio vuoto tra i due, allo scoperto, ho visto quattro di loro che avanzavano verso il nostro varco e la posizione che avevo lasciato alla mia destra. Ci stavano accerchiando.  Avevano anche gli RPG e stavano forse a meno di sessanta, settanta metri da noi. E' durato tutto una frazione di tempo, anche loro hanno visto me e il mio compagno ed abbiamo sparato insieme, noi e loro. Quando ci ripenso mi sembra di vedere un film al rallentatore, invece è durato il tempo di sparare una ventina di colpi con la mia minimi. Tre gli ho visti cadere e un quarto con il lancia razzi è scappato a gambe levate dietro le case inseguito dai nostri colpi. All'improvviso e per qualche secondo hanno tutti smesso di sparare e mi sono trovato come avvolto in una specie di silenzio che rimbombava nelle orecchie. Si sentivano delle grida concitate verso il luogo dove era scappato quello con il lanciarazzi e che nella fuga l’aveva lasciato cadere. Vedevo chiaramente uno dei tre che avevamo colpito steso a terra, con la casacca bianca sporca di sangue, gli altri due li intravedevo, uno sembrava muoversi. Io e il mio compagno riprendemmo a sparare brevi raffiche alternandoci per ricaricare le armi, lui con il fucile automatico. Anche gli altri dietro al muro adesso si alzavano sporgendosi rapidamente e sparavano una raffica lunga, poi si accovacciavano e altri ricominciavano da altre posizione. Si sentivano urla e grida e dei lamenti distinti nonostante i colpi. Poi ad un tratto hanno incominciato a suonare le chitarre dei blindo (le mitragliatrici pesanti  cal. 12,7 e quelle  cal. 7,62 - n.d.r.) che nel frattempo si erano riposizionati.  Un gran casino, la reazione è stata fortissima, si vedevano pezzi di muro sbriciolarsi ed anche i nostri alleati di cui dovevamo costituire la protezione si erano ripresi ed iniziarono a reagire come fanno loro, avanzando e sparando a martello con tutto quello che avevano. 
Coperti dal nostro fuoco di interdizione hanno concluso l’operazione a modo loro. Per me era stata la prima volta. Non avevo avuto paura, provavo però un sentimento strano tra l’eccitazione di avere fatto qualche cosa di totalizzante ed un vago senso di colpa per averlo fatto. La notte ho dormito a mattone per la stanchezza e la scomparsa dell’adrenalina, ma i miei camerati mi dissero che avevo parlato sconclusionatamente nel sonno. Ne ho parlato con il Cappellano, io non vado mai in chiesa, ma quell’uomo poco più grande di me mi ha dato risposte umane, comprensibili e rassicuranti. Non racconto mai questa storia, è come un film in bianco e nero visto tanto tempo fa. Comunque anche quel giorno non sono riusciti a fregarci. Ci hanno provato tantissime altre volte ma le hanno sempre prese. Molti di noi dicono che hanno fatto l'attentato con l'auto bomba perché con noi sul campo hanno sempre perso. Vuoi sapere se è cambiato qualche cosa? No. Non è cambiato nulla. Ho fatto quello per cui ero stato addestrato e penso di averlo fatto bene. Ma a volte mi domando: perché io?»
                                                         (Antoine Khan)
*Questo racconto è stato pubblicato nel n. 10 del Magazine TNM nell'ottobre 2011

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